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domenica 9 giugno 2013

FOOD HISTORY- L'alimentazione ebraica ai tempi della bibbia

Note di storia antica - Civiltà ebraica

L'alimentazione nella civiltà ebraica ha subito molte variazioni nel tempo, come si può immaginare. 
Nell’epoca nomadica più antica il vitto era semplice e poco saporito e le spezie rare in quelle terre desertiche. I cibi potevano essere facilmente seccati e conservati per l’arido clima e non si potevano portare troppe provviste durante i viaggi.
Come il patriarca Abramo, i nomadi cercavano in continuazione nuovi pascoli più ricchi per le loro greggi: il latte e i latticini costituivano la base dell’alimentazione. La carne era fornita da agnelli e capretti ed era abbondante. Per il resto, l’alimentazione era essenzialmente basata sul grano selvatico, con il quale le donne – come Sara nel racconto biblico – potevano fare il pane; erbe selvatiche venivano cotte come verdure e i datteri dell’oasi più vicina completavano il pasto.
Quando parte della popolazione divenne sedentaria e iniziò a praticare l’agricoltura, all’alimentazione si aggiunsero cereali coltivati e legumi, olive e uva. Con i cereali si potevano ora fare zuppe, minestre, polente, pane e si potevano condire i cibi con olio di oliva e bere il vino.
Lungo la riva del mare o nelle zone del Mar Morto si produceva sale e lo si scambiava con le pecore di qualche mercante di passaggio. Erbe aromatiche venivano coltivate nell’orto di casa, come noi oggi piantiamo basilico e timo in cassetta sul davanzale della finestra. La prima colazione si faceva in casa o nei campi ed era costituita da pane e formaggio, un poco di insalata o verdure, frutta fresca o secca e un poco di vino mescolato con acqua, o aceto o latte. L’aceto serviva per dissetare a lungo.

Il pasto principale veniva consumato nel tardo pomeriggio o presto alla sera, quando il caldo intenso della giornata era un poco diminuito e una fresca brezza solleticava la pelle e l’appetito. Cenando al crepuscolo o sotto il cielo stellato, i figli di Israele si distendevano su stuoie intorno a una pelle conciata che faceva da tovaglia stesa per terra, e si ristoravano con una robusta zuppa di frumento od orzo, ceci, fave o lenticchie, cotta ore e ore, insaporita da erbe selvatiche o verdure raccolte nella giornata.
All’epoca della bibbia i pasti erano un atto comunitario, come di nuovo lo sono nei Kibbutzim del moderno Israele. Ognuno immergeva il suo pezzo di pane o il suo “boccone” (Giovanni 13,26) nel piatto comune. Questo significava ovviamente che i cibi dovevano essere abbastanza solidi da non cadere dal pane nel tragitto dal piatto alla bocca.
Piccole coppe e piatti, anche se alcuni sono stati ritrovati in scavi della prima Età del Bronzo, entrarono nell’uso comune piuttosto tardi e da quel momento accompagnarono anche il nomade nei suoi viaggi. “Pulirò Gerusalemme come si asciuga un piatto, che si asciuga e si rovescia” leggiamo nel Libro dei Re (2 Re 21,13).
In quell’epoca antica l’alimentazione tipica dell’uomo – eccetto ovviamente il nomade – era in gran parte, anche se non esclusivamente, vegetariana.
Da una tavoletta di pietra, trovata a Gezer, del secolo X a.C. che porta inciso in caratteri cuneiformi una specie di calendario dei lavori agricoli mese per mese, possiamo farci un’idea degli alimenti base dell’epoca; questo calendario elenca: orzo, frumento, spelta, miglio, olive, uva, fichi, melagrane, sesamo e diverse verdure di stagione.
Allora come oggi i ricchi potevano permettersi raffinatezze meno comuni che la terra e i mercanti offrivano: buoi grassi, volatili, spezie di importazione, fior di farina, buon vino. 
E la varietà della loro alimentazione dava gusto alla vita.

Il cibo dell’epoca della Bibbia era cibo naturale: non esistevano coloranti, conservanti o aromi artificiali che potessero ingannare i sensi e rendere l’inesistente esistente. E questo rallegrerà i cultori dell’alimentazione naturale.
Purtroppo, per preparare un pasto biblico ai nostri giorni bisognerà fare alcune concessioni, sacrificando un certo grado di autenticità. Ad esempio è raro trovare in città, ma anche in campagna, latte di capra o di pecora, per di più non pastorizzato.

Parlando di colazioni, pranzi e cene presso le famiglie ebraiche italiane del passato, dovremo fare le debite distinzioni tra la cucina ricca, dispendiosa e un poco esibizionista di quelle più agiate e benestanti e quella essenziale, meno raffinata, quasi popolare e contadina, delle famiglie dai mezzi economici più limitati, indipendentemente dal fatto che quelle famiglie vivessero nei medesimi ghetti, sottoposte all’apparenza alle stesse misure restrittive, adottate dai vari governi nei confronti del nucleo ebraico nel suo complesso. 

La società ebraica era fatta di ricchi e di poveri, e la diversità nella condizione socioeconomica si vedeva anche a tavola.



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