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domenica 2 giugno 2013

FOOD HISTORY - RICETTARI NEL MEDIOEVO

Storiografia e fonti nella ricerca delle notizie per la costruzione del percorso del cibo medievale

Questa è la traccia, lo studio per la conferenza tenutasi il 25 maggio 2013 in quel di Pavone Canavese all'interno delle FERIE MEDIEVALI -  XV Convegno - promosso dall'Associazione Amici Museo del Canavese  e dal Centro Studi Canavesani: "MEDIOEVO in Ivrea e Canavese". 
Lo studio più approfondito verrà redatto in un secondo tempo e pubblicato, come sempre, in una pubblicazione dei Quaderni Medievali in Canavese, che si potranno acquistare.
"Sino al 1980 circa, la ricerca sulle abitudini alimentari medievali è stato un campo di studi piuttosto trascurato. Questo per la maggior parte degli studiosi del periodo, tranne due eccezioni molto importanti: il Prof. Massimo Montanari in Italia e lo storico Jacques Le Goff per la Francia.

Tutto il resto manteneva una convinzione piuttosto errata con errori di valutazione macroscopici. 
Tali errori sono ancora diffusi tutt'ora tra storici e anche nella convinzione comune. Vale a dire che è rimasta la convinzione che questa epoca fosse arretrata, primitiva e barbarica.

La cucina medievale veniva descritta come rivoltante per gli accostamenti dei sapori inconsueti, oppure per uso di molta carne a scapito del mondo vegetale, oppure per impiego smodato delle spezie.
Si arriva così a pensare e a convincersi che le spezie servissero per coprire il sapore di carne avariata, non tenendo conto degli studi fatti che dimostravano invece che la conservazione degli alimenti, seppur empirica, fossero efficaci e perfettamente adeguati alla bisogna; inoltre non si tiene in conto che il procurarsi carne fresca tutto l'anno non fosse semplice, sia da parte del signore che del popolano.
Ancor di più è errato pensare questo visto che il portare in tavola carne avariata era disdicevole per il buon nome del casato, perché avrebbe fatto crollare la considerazione del buon nome; e ancor di più a sostegno di ciò, avrebbe favorito uno sterminio di massa provocando dissenterie e malanni, poco curabili a quel tempo.
Le spezie erano merce molto costosa e il prestigio dell'anfitrione sarebbe stato annullato se fosse stato servito su merce avariata, considerato il fatto che il convivio - come avviene anche oggi - aveva una funzione molto importante nella vita sociale. A tavola, oggi come allora, si concludevano affari, si intessevano relazioni, venivano suggellati dichiarazioni e trattati proprio al cospetto di un suntuoso banchetto.
Tritavano e macinavano gli ingredienti e ne facevano impasti, perché amavano la commistione di questa chimica di gusto e alimenti, costruendo delle autentiche "casse", che ne racchiudevano delizie e bontà succulente. Ma non perché erano privi di dentatura. 
Era per loro una nuova costruzione, atta a poter cuocere nel forno, atta a poter trasportare quell'alimento, atta a poterlo sporgere e per vedere la curiosità che poteva suscitare negli astanti. Mille e una ragione avevano portato a questa costruzione di una modalità di cucinare.
Evinciamo, studiando e ricercando, queste affermazioni direttamente da fonti storiche che ritroviamo negli archivi delle biblioteche storiche del mondo, negli archivi dei comuni, negli archivi delle fondazioni e raccolte pubbliche e private.
La difficoltà per il ricercatore é dare una costruzione alle notizie che si apprendono, studiando situazioni socio-economiche del tempo, rapportandole tutte assieme e facendone un lungo lavoro di traduzione. 
Perché molto sovente ritroviamo gli scritti in italiano antico oppure in latino o idiomi antichi.
Quando si hanno in mano incunaboli, (così si definisce convenzionalmente un documento stampato con la tecnologia dei caratteri mobili e realizzato tra la metà del XV secolo e l'anno 1500 incluso. Il termine deriva dal latino incunabulum -plurale incunabula- che significa "in culla) soprattutto quelli che parlano di cibo, vediamo che sono raccolte di ricette, non paragonabili ai nostri ricettari o moderni libri di cucina, cioè una guida passo a passo su come realizzare un piatto e tenere sottomano mentre si lavora.
Tutt'altro! Le ricette riportate sono spesso molto brevi, raccontate come un percorso al cui interno vi sono suggestioni e immagini di colui che scrisse quel determinato trattato. 
Quindi non vi sono quasi mai riportate le quantità degli ingredienti, oppure niente tempi di cottura e temperature, perché al tempo non esistevano orologi e la cottura del cibo avveniva esponendolo al fuoco vivo, diretto o indiretto.
Al massimo i tempi di cottura venivano fissati indicando il tempo necessario a recitare un certo numero di preghiere o il tempo che il cuoco avrebbe impiegato per girare attorno ad un campo di determinate dimensioni.
I cuochi professionisti non imparavano il mestiere in una scuola tradizionale ma con un lungo apprendistato e la pratica sul campo.
Il cuoco doveva essere di nobile stirpe, capace di pianificare e realizzare un pranzo senza aiuto di ricette o istruzioni scritte. Era colto, raffinato, doveva essere capace di organizzare e comandare delle brigate sterminate in cucina o per l'organizzazione del palazzo del suo signore.
Noi abbiamo un certo numero di raccolte di ricette medievali, 70 per esattezza, scritte in buona parte nelle lingue europee del tempo.
Nei secoli successivi un tal Maestro Martino da Como raccolse incunaboli e trattati e ne ha composto un libro-trattato "Libro de Arte Coquinaria" che rimane nella storia. Giunto sino a noi in tre copie che risiedono una nella biblioteca del Congresso di Washington, un'altra in una fondazione svizzera e l'ultima nella biblioteca del Vaticano. 
Questo prezioso incunabolo ci racconta abitudini alimentari e suggestioni, ed è un caposaldo della letteratura gastronomica italiana, testimoniando il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale.
Quest' uomo è stato un cuoco e gastronomo italiano nativo del Canton Ticino, nel 1430 circa, un territorio conteso dal ducato di Milano e dalla vecchia confederazione Svizzera e in parte legato alla diocesi di Como.
Lui peregrina da diocesi e da corti, quali ad esempio al servizio di Francesco Sforza, per poi giungere a Roma.  
Nelle cucine vaticane si consacra il suo successo e la sua fama di cuoco provetto. 

Di lui si apprezza la fantasia creativa e il fatto che non sia uso, come per altri colleghi, al copiare ricette già note, ma inventandone di proprie e costruendo un proprio percorso con gusto moderno ma legato alla tradizione.
Si raccontano molte cose su di lui, talvolta si favoleggia, ma è indubbio il suo talento e il suo estro e il fatto di aver viaggiato e lavorato nelle corti e anche nella corte vaticana, lo rende brillante e di mente fervida.
Il suo trattato "Libro de Arte Coquinaria" condensa in 65 fogli non enumerati e scritti in lingua volgare, tutto lo scibile dell'alimentazione, tracciandovi un tratto che lo distingue: il recupero del gusto originale delle materie prime, evitando uso e abuso delle spezie, costruendo così uno stile preciso, dettagliato e immediato.
Si comprende così che il suo intendo è quello di farsi comprendere da tutti - anche per questo scelse la lingua volgare - e le ricette si susseguono in ordine di portata e di tipologia di ingredienti, in modo snello e moderno. Riporta anche varianti a taluni ingredienti, nel caso in quel momento si fosse sprovvisti delle stesse.
Ritroviamo suggestioni che riportano la conoscenza diretta della cucina catalana, araba e orientale.
Dobbiamo ad uno speciale uomo, umanista e suo contemporaneo la diffusione dei suoi trattati: un tal Bartolomeo Sacchi detto il Platina, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Questo ultimo incorporò le ricette di Martino trascrivendole in latino e arricchendole di commenti. Apprendiamo quindi da lui che Martino era colto, affabulatore, con una cultura così vasta che gli permetteva di sostenere discussioni sui più disparati argomenti, non solo di natura gastronomica.
Grazie a Platina abbiamo queste notizie e possiamo rapportare questi trattati con le testimonianze giunte sino a noi dei convivi; testimonianze e rapporti con i trattati che sono andata a dipanare in molti anni e in ogni angolo italiano e europeo.
Ho dovuto, oltre a anni di studi e comparazioni, di confronti infiniti, anche imparare a cucinare per provare quanto appreso e ho fatto gavette infinite nelle cucine stellate europee, apprendendo così professionalità e approfondita conoscenza della materia prima e della sua composizione alchemica, che vanno a comporre poi il prodotto finale."
Per ora mi fermo qui, giusto per far si che possiate prendere conoscenza di tempi e personaggi, per portare in seguito approfondite tematiche e anche il mio ricettario "segreto" che vi permetterà di cucinare a vostra volta questi manicaretti e quindi amare tempi e storia antichi.

Norma Torrisi Fubini

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