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mercoledì 26 giugno 2013

FOOD THE BOOK - Come diventare amiche di Alice attraverso un libro di ricette

I BISCOTTI di BAUDELAIRE di Alice B. TOKLAS


Eccolo qui, nelle mie mani e mi fa trepidare aprirlo. 
Sto per dare lettura ad un volume dalla copertina verde acido, un colore che mi piace assai, con raffigurati in bella posta delle madeleinette di proustiana memoria, con un interno verde pistacchio.
Ci è arrivato per posta, a seguito di mail e contatti, ed è omaggio da parte di una casa editrice raffinata e molto illustre, in quanto a pubblicazioni. Parliamo di scienza, matematica, filosofia, teologia e quanto altro ci può ricondurre alle scienze al di fuori di letteratura e molto al di là di un libro di ricette.
E' la nuova scommessa da parte della Bollati Boringhieri, quella con le copertine blu intenso, quella casa editrice che ha sede in terra sabauda, la letterata e magari un poco snob Torino.
Non è un libro di ricette qualsiasi, no: è il libro di ricette riconducibile a quella Alice B. Toklas, che fece coppia per lungo tempo - sino alla morte di lei - con la grande scrittrice Gertrude Stein, di cui abbiamo già parlato a proposito di FOOD ART.
Che poi scrittrice... non solo! Era anche intellettuale profonda e colta, collezionista di opere d'arte e amica di tutto quanto può ricondurci all'intellighenzia dagli anni '30 sino agli anni '60, quando morì a seguito di una lunga e terribile malattia. Lasciò Alice sola e infine anche ridotta in povertà da parte della famiglia Stein che si portò via tutto, compresi meraviglie di quadri della portata di Picasso, Picabia, Matisse e via dicendo.
La storia di questa coppia omosessuale ci può insegnare nel finale cosa vuol dire non dare diritti e pari opportunità a persone che si amano, stimano e conducono una vita assieme lunga e intensa, producendo bensì ricchezza, ma anche appartenenza, complicità e relazioni.
GERTRUDE AND ALICE, PARIS, OCTOBER 1939

Le due amavano cibarsi, non col vezzo di mangiare per ritemprarsi dagli affanni, ma amavano il cibo sapido, colto, ben costruito e vario.
Non avevano gli stessi nobili lombi, Stein è ancora oggi riconducibile ai wasp americani, mentre i Toklas erano borghesi benestanti, comunque erano ben assortite nonostante la differenza. 
Alice Toklas più propensa all'organizzare, all'occuparsi del ménage della coppia, alla rilettura degli scritti della Gertrude, che non andavano in stampa sinché lei non avesse dato giudizi e correzioni - il suo giudizio era fondamentale - alla sovraintendenza dei pasti e delle bonne de chambre e cuoche-cuochi dipendenti, al mettere insieme ospiti e pietanze, alle relazioni della coppia con il mondo esterno fatto di intellettuali, nobili, artisti nonché persone comuni. 
Sempre però carichi di sapere e presenza di spirito, e soprattutto... buongustai.
Saziò la fame di alcuni dei massimi artisti del divenire, quali Picasso e Matisse, cercando anche di stemperare gelosie e rivalità, soprattutto da parte del primo verso quest'ultimo. 
Quadri, meravigliose pitture adornavano le loro molte residenze, così come per la antica e accomodante Bilignin, residenza che rimase sempre nel loro quotidiano vivere, con orto che lei accudiva come si accudisce un neonato, con raccolte di ortaggi e erbe aromatiche, nonché frutta, che la inorgoglivano.

E così sfogliando con attenzione questa bibbia del sapere culinario, leggo ricette che han regalato amici, tra le quali una giovane Fernanda Pivano Sottsass, oppure raccolte qua e là spiando e facendo parlare le tante cuoche e cuochi che sono stati a servizio, oppure raccolte nei vari party o nei tanti ristoranti frequentati dalla coppia. Ovunque andasse raccoglieva informazioni e dati sulla cucina francese, scrivendo appunti e punteggi, dando valutazioni e amando poi riproporle ai convitati loro.
Lei sapeva cucinare e quindi parlava con competenza, buongustaia, non amava molto la cucina del suo paese d'origine, pensando che il must fosse sempre e comunque la grande e grassa cucina francese, con i suoi prodotti del territorio e le sue tante specialità.
Le ricette riportate nel libro sono gustose, segno di un passato, ma comunque possibili riportarle ancora oggi sulle nostre tavole, senza grandi problemi, se non quello di reperire ingredienti abbastanza costosi, come le ostriche, che loro amavano molto. 


Sono raccontati anche i siparietti a volte surreali con le loro cuoche: tre sorelle che si alternano perché incinte o vanno in sposa; un cuoco indocinese molto poco affidabile, che però è un portento in cucina, sino a sentirne forte mancanza quando sparirà per poi ricomparire a tempi alterni; cuoche basche, alsaziane, giovani e di mezza età che portano leccornie e meraviglie tra gli sbuffi delle pentole e la tavola apparecchiata sotto lo sguardo di capolavori dell'arte del secolo scorso - il colore rosso di Matisse e le figure astratte di Picasso o lo sguardo non tenero di Gertrude dipinta assisa nella sua seggiola preferita, ritratto composto dal guascone spagnolo che diverrà il genio della pittura.



Le ricette del pollo sono gustose, variegate in modalità di cottura e spesso ripiene di tartufi, quando il vento dell'abbondanza gira da quelle parti.

Il picnic che adoravano, perché era anche un modo per andare a visitare musei, contrade, luoghi; vi ritroverete spunti per gustosissimi sandwich, non il solito picnic, ma pasti per allietare una tovaglia tra l'erba e riprodurre capolavori di arte.
Ci sono versioni fantasiose per camuffare la mancanza di carne - siamo al tempo delle guerre, due per esattezza che le ha viste coinvolte - e quindi ricorrevano alle risorse dell'orto, che il tepore della Provenza e il lavoro di Alice rende rigoglioso.
Si legge di un anatroccolo messo a macerare con i fichi gustosi e appena colti per poi cuocerlo con questo estratto; nel leggerlo mi viene uno svenimento per la voglia di cibo che mi assale.


Salse, pesce, dolci, carni, verdure, potage e quanto altro che provengono dalla raccolta di Alice e che tracciano gli episodi e la vita di queste due colte, intelligenti e mai paghe di vita e curiosità signorine che hanno attraversato i tempi sempre amandosi e amando vita e persone.



Il titolo del libro proviene da una ricetta che troverete nell'indice, datale da una certa Brion Gysin e il sottotilo cita:

... "ottimi per le giornate di pioggia" e verga la Toklas: "è il cibo del paradiso....dei paradisi artificiali di Baudelaire. Un dolce che potrebbe animare una riunione del Bridge Club e in Marocco mi dicono può esser utile a tenere lontani raffreddori durante inverni umidi, efficace se accompagnati da tazze di tè caldo alla menta".....ed ancora "bisogna rilassarsi e aspettare allegramente di piombare in uno stato di dolce euforia e scrosci di risate, sogni estatici ed estensione della personalità a diversi livelli simultanei. Se vi lascerete andare, potrete trovare quasi tutto quelle che provò santa Teresa".

Di certo vi sorprenderà tutto questo preambolo, ma sarà meraviglia perché uno degli ingredienti è sorprendente.....non vi svelo nulla, andate a leggere e ne sarete piacevolmente sorpresi.



Con una descrizione così viene immediatamente voglia di prendere ingredienti e mettersi al lavoro per andare a reperire queste sublimazioni estatiche. 
Ma le avrete tutte e tante se avrete nel vostro angolo preferito dove tenete i capolavori culinari e non, questo volume.


Ancor più, dopo aver costruito cibi e colazioni con queste ricette, diverrete amiche della signorina Toklas. 

Virtualmente si sa, ma penso che lei si aggiri ovunque il cibo sia perfetto accompagnatore di estatiche degustazioni.

mercoledì 19 giugno 2013

FOOD RECIPE - Biscottelli gialli

I biscotti gialli per una colazione saporita


Ho scoperto questa ricetta in un vecchio libro... 
"Fatto in casa", di Mila Contini. 

Sono biscottini gialli, fatti con la farina di polenta. Risultano molto croccanti e adatti ad una colazione. Sapete che io sono patita di biscotti, mi piace sperimentare e farne in abbondanza per la colazione. 

A dire la verità, non compro più quelli di produzione industriale, mi sono abituata ai gusti naturali, bastano in fondo un paio di ore per averne in abbondanza per 20 giorni circa, e si possono conservare in barattoli di vetro, ermeticamente chiusi.










Passiamo alla ricetta:
INGREDIENTI
  • 250 gr di farina gialla macinata fine
  • 100 gr di farina bianca 00
  • 150 di zucchero
  • 4 tuorli d'uovo
  • 100 gr di burro
  • uvetta sultanina
  • scorza di limone grattuggiato


Setacciate le farine insieme, per mescolarle bene. Disponetele a fontana e nel centro rompete le uova, quindi aggiungete lo zucchero, il burro molle, la scorza di limone. Amalgamate e formate un impasto, fino a quando non si appiccica più alle mani.
In alternativa potete utilizzare la planetaria, come ho fatto io. In questo caso, amalgamate prima i liquidi con lo zucchero, la scorza di limone e il burro molto morbido, quindi aggiungete poco a poco la farina.
A questo punto stendete la sfoglia fino ad un'altezza di circa mezzo centimetro. Adagiate sulla pasta l'uva sultanina e schiacciatela dentro (prima lavatela e lasciatela in ammollo per circa 10 min, quindi strizzatela bene prima di usarla).
Un'alternativa a questo procedimento è di unirla all'impasto prima di stenderla.
Tagliate con gli stampini le forme che preferite, quindi distendeteli sulla placca da forno, cuocete in forno caldo a circa 180° per circa 10 minuti, fino a quando diventino dorati.

Lasciate raffreddare e asciugare all'aria  per molte ore prima di riporli nei contenitori per la conservazione.
I biscottelli gialli sono pronti.... buoni!








©PHOTO EDITING - elisa roattino

domenica 9 giugno 2013

FOOD HISTORY- L'alimentazione ebraica ai tempi della bibbia

Note di storia antica - Civiltà ebraica

L'alimentazione nella civiltà ebraica ha subito molte variazioni nel tempo, come si può immaginare. 
Nell’epoca nomadica più antica il vitto era semplice e poco saporito e le spezie rare in quelle terre desertiche. I cibi potevano essere facilmente seccati e conservati per l’arido clima e non si potevano portare troppe provviste durante i viaggi.
Come il patriarca Abramo, i nomadi cercavano in continuazione nuovi pascoli più ricchi per le loro greggi: il latte e i latticini costituivano la base dell’alimentazione. La carne era fornita da agnelli e capretti ed era abbondante. Per il resto, l’alimentazione era essenzialmente basata sul grano selvatico, con il quale le donne – come Sara nel racconto biblico – potevano fare il pane; erbe selvatiche venivano cotte come verdure e i datteri dell’oasi più vicina completavano il pasto.
Quando parte della popolazione divenne sedentaria e iniziò a praticare l’agricoltura, all’alimentazione si aggiunsero cereali coltivati e legumi, olive e uva. Con i cereali si potevano ora fare zuppe, minestre, polente, pane e si potevano condire i cibi con olio di oliva e bere il vino.
Lungo la riva del mare o nelle zone del Mar Morto si produceva sale e lo si scambiava con le pecore di qualche mercante di passaggio. Erbe aromatiche venivano coltivate nell’orto di casa, come noi oggi piantiamo basilico e timo in cassetta sul davanzale della finestra. La prima colazione si faceva in casa o nei campi ed era costituita da pane e formaggio, un poco di insalata o verdure, frutta fresca o secca e un poco di vino mescolato con acqua, o aceto o latte. L’aceto serviva per dissetare a lungo.

Il pasto principale veniva consumato nel tardo pomeriggio o presto alla sera, quando il caldo intenso della giornata era un poco diminuito e una fresca brezza solleticava la pelle e l’appetito. Cenando al crepuscolo o sotto il cielo stellato, i figli di Israele si distendevano su stuoie intorno a una pelle conciata che faceva da tovaglia stesa per terra, e si ristoravano con una robusta zuppa di frumento od orzo, ceci, fave o lenticchie, cotta ore e ore, insaporita da erbe selvatiche o verdure raccolte nella giornata.
All’epoca della bibbia i pasti erano un atto comunitario, come di nuovo lo sono nei Kibbutzim del moderno Israele. Ognuno immergeva il suo pezzo di pane o il suo “boccone” (Giovanni 13,26) nel piatto comune. Questo significava ovviamente che i cibi dovevano essere abbastanza solidi da non cadere dal pane nel tragitto dal piatto alla bocca.
Piccole coppe e piatti, anche se alcuni sono stati ritrovati in scavi della prima Età del Bronzo, entrarono nell’uso comune piuttosto tardi e da quel momento accompagnarono anche il nomade nei suoi viaggi. “Pulirò Gerusalemme come si asciuga un piatto, che si asciuga e si rovescia” leggiamo nel Libro dei Re (2 Re 21,13).
In quell’epoca antica l’alimentazione tipica dell’uomo – eccetto ovviamente il nomade – era in gran parte, anche se non esclusivamente, vegetariana.
Da una tavoletta di pietra, trovata a Gezer, del secolo X a.C. che porta inciso in caratteri cuneiformi una specie di calendario dei lavori agricoli mese per mese, possiamo farci un’idea degli alimenti base dell’epoca; questo calendario elenca: orzo, frumento, spelta, miglio, olive, uva, fichi, melagrane, sesamo e diverse verdure di stagione.
Allora come oggi i ricchi potevano permettersi raffinatezze meno comuni che la terra e i mercanti offrivano: buoi grassi, volatili, spezie di importazione, fior di farina, buon vino. 
E la varietà della loro alimentazione dava gusto alla vita.

Il cibo dell’epoca della Bibbia era cibo naturale: non esistevano coloranti, conservanti o aromi artificiali che potessero ingannare i sensi e rendere l’inesistente esistente. E questo rallegrerà i cultori dell’alimentazione naturale.
Purtroppo, per preparare un pasto biblico ai nostri giorni bisognerà fare alcune concessioni, sacrificando un certo grado di autenticità. Ad esempio è raro trovare in città, ma anche in campagna, latte di capra o di pecora, per di più non pastorizzato.

Parlando di colazioni, pranzi e cene presso le famiglie ebraiche italiane del passato, dovremo fare le debite distinzioni tra la cucina ricca, dispendiosa e un poco esibizionista di quelle più agiate e benestanti e quella essenziale, meno raffinata, quasi popolare e contadina, delle famiglie dai mezzi economici più limitati, indipendentemente dal fatto che quelle famiglie vivessero nei medesimi ghetti, sottoposte all’apparenza alle stesse misure restrittive, adottate dai vari governi nei confronti del nucleo ebraico nel suo complesso. 

La società ebraica era fatta di ricchi e di poveri, e la diversità nella condizione socioeconomica si vedeva anche a tavola.



domenica 2 giugno 2013

FOOD HISTORY - RICETTARI NEL MEDIOEVO

Storiografia e fonti nella ricerca delle notizie per la costruzione del percorso del cibo medievale

Questa è la traccia, lo studio per la conferenza tenutasi il 25 maggio 2013 in quel di Pavone Canavese all'interno delle FERIE MEDIEVALI -  XV Convegno - promosso dall'Associazione Amici Museo del Canavese  e dal Centro Studi Canavesani: "MEDIOEVO in Ivrea e Canavese". 
Lo studio più approfondito verrà redatto in un secondo tempo e pubblicato, come sempre, in una pubblicazione dei Quaderni Medievali in Canavese, che si potranno acquistare.
"Sino al 1980 circa, la ricerca sulle abitudini alimentari medievali è stato un campo di studi piuttosto trascurato. Questo per la maggior parte degli studiosi del periodo, tranne due eccezioni molto importanti: il Prof. Massimo Montanari in Italia e lo storico Jacques Le Goff per la Francia.

Tutto il resto manteneva una convinzione piuttosto errata con errori di valutazione macroscopici. 
Tali errori sono ancora diffusi tutt'ora tra storici e anche nella convinzione comune. Vale a dire che è rimasta la convinzione che questa epoca fosse arretrata, primitiva e barbarica.

La cucina medievale veniva descritta come rivoltante per gli accostamenti dei sapori inconsueti, oppure per uso di molta carne a scapito del mondo vegetale, oppure per impiego smodato delle spezie.
Si arriva così a pensare e a convincersi che le spezie servissero per coprire il sapore di carne avariata, non tenendo conto degli studi fatti che dimostravano invece che la conservazione degli alimenti, seppur empirica, fossero efficaci e perfettamente adeguati alla bisogna; inoltre non si tiene in conto che il procurarsi carne fresca tutto l'anno non fosse semplice, sia da parte del signore che del popolano.
Ancor di più è errato pensare questo visto che il portare in tavola carne avariata era disdicevole per il buon nome del casato, perché avrebbe fatto crollare la considerazione del buon nome; e ancor di più a sostegno di ciò, avrebbe favorito uno sterminio di massa provocando dissenterie e malanni, poco curabili a quel tempo.
Le spezie erano merce molto costosa e il prestigio dell'anfitrione sarebbe stato annullato se fosse stato servito su merce avariata, considerato il fatto che il convivio - come avviene anche oggi - aveva una funzione molto importante nella vita sociale. A tavola, oggi come allora, si concludevano affari, si intessevano relazioni, venivano suggellati dichiarazioni e trattati proprio al cospetto di un suntuoso banchetto.
Tritavano e macinavano gli ingredienti e ne facevano impasti, perché amavano la commistione di questa chimica di gusto e alimenti, costruendo delle autentiche "casse", che ne racchiudevano delizie e bontà succulente. Ma non perché erano privi di dentatura. 
Era per loro una nuova costruzione, atta a poter cuocere nel forno, atta a poter trasportare quell'alimento, atta a poterlo sporgere e per vedere la curiosità che poteva suscitare negli astanti. Mille e una ragione avevano portato a questa costruzione di una modalità di cucinare.
Evinciamo, studiando e ricercando, queste affermazioni direttamente da fonti storiche che ritroviamo negli archivi delle biblioteche storiche del mondo, negli archivi dei comuni, negli archivi delle fondazioni e raccolte pubbliche e private.
La difficoltà per il ricercatore é dare una costruzione alle notizie che si apprendono, studiando situazioni socio-economiche del tempo, rapportandole tutte assieme e facendone un lungo lavoro di traduzione. 
Perché molto sovente ritroviamo gli scritti in italiano antico oppure in latino o idiomi antichi.
Quando si hanno in mano incunaboli, (così si definisce convenzionalmente un documento stampato con la tecnologia dei caratteri mobili e realizzato tra la metà del XV secolo e l'anno 1500 incluso. Il termine deriva dal latino incunabulum -plurale incunabula- che significa "in culla) soprattutto quelli che parlano di cibo, vediamo che sono raccolte di ricette, non paragonabili ai nostri ricettari o moderni libri di cucina, cioè una guida passo a passo su come realizzare un piatto e tenere sottomano mentre si lavora.
Tutt'altro! Le ricette riportate sono spesso molto brevi, raccontate come un percorso al cui interno vi sono suggestioni e immagini di colui che scrisse quel determinato trattato. 
Quindi non vi sono quasi mai riportate le quantità degli ingredienti, oppure niente tempi di cottura e temperature, perché al tempo non esistevano orologi e la cottura del cibo avveniva esponendolo al fuoco vivo, diretto o indiretto.
Al massimo i tempi di cottura venivano fissati indicando il tempo necessario a recitare un certo numero di preghiere o il tempo che il cuoco avrebbe impiegato per girare attorno ad un campo di determinate dimensioni.
I cuochi professionisti non imparavano il mestiere in una scuola tradizionale ma con un lungo apprendistato e la pratica sul campo.
Il cuoco doveva essere di nobile stirpe, capace di pianificare e realizzare un pranzo senza aiuto di ricette o istruzioni scritte. Era colto, raffinato, doveva essere capace di organizzare e comandare delle brigate sterminate in cucina o per l'organizzazione del palazzo del suo signore.
Noi abbiamo un certo numero di raccolte di ricette medievali, 70 per esattezza, scritte in buona parte nelle lingue europee del tempo.
Nei secoli successivi un tal Maestro Martino da Como raccolse incunaboli e trattati e ne ha composto un libro-trattato "Libro de Arte Coquinaria" che rimane nella storia. Giunto sino a noi in tre copie che risiedono una nella biblioteca del Congresso di Washington, un'altra in una fondazione svizzera e l'ultima nella biblioteca del Vaticano. 
Questo prezioso incunabolo ci racconta abitudini alimentari e suggestioni, ed è un caposaldo della letteratura gastronomica italiana, testimoniando il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale.
Quest' uomo è stato un cuoco e gastronomo italiano nativo del Canton Ticino, nel 1430 circa, un territorio conteso dal ducato di Milano e dalla vecchia confederazione Svizzera e in parte legato alla diocesi di Como.
Lui peregrina da diocesi e da corti, quali ad esempio al servizio di Francesco Sforza, per poi giungere a Roma.  
Nelle cucine vaticane si consacra il suo successo e la sua fama di cuoco provetto. 

Di lui si apprezza la fantasia creativa e il fatto che non sia uso, come per altri colleghi, al copiare ricette già note, ma inventandone di proprie e costruendo un proprio percorso con gusto moderno ma legato alla tradizione.
Si raccontano molte cose su di lui, talvolta si favoleggia, ma è indubbio il suo talento e il suo estro e il fatto di aver viaggiato e lavorato nelle corti e anche nella corte vaticana, lo rende brillante e di mente fervida.
Il suo trattato "Libro de Arte Coquinaria" condensa in 65 fogli non enumerati e scritti in lingua volgare, tutto lo scibile dell'alimentazione, tracciandovi un tratto che lo distingue: il recupero del gusto originale delle materie prime, evitando uso e abuso delle spezie, costruendo così uno stile preciso, dettagliato e immediato.
Si comprende così che il suo intendo è quello di farsi comprendere da tutti - anche per questo scelse la lingua volgare - e le ricette si susseguono in ordine di portata e di tipologia di ingredienti, in modo snello e moderno. Riporta anche varianti a taluni ingredienti, nel caso in quel momento si fosse sprovvisti delle stesse.
Ritroviamo suggestioni che riportano la conoscenza diretta della cucina catalana, araba e orientale.
Dobbiamo ad uno speciale uomo, umanista e suo contemporaneo la diffusione dei suoi trattati: un tal Bartolomeo Sacchi detto il Platina, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Questo ultimo incorporò le ricette di Martino trascrivendole in latino e arricchendole di commenti. Apprendiamo quindi da lui che Martino era colto, affabulatore, con una cultura così vasta che gli permetteva di sostenere discussioni sui più disparati argomenti, non solo di natura gastronomica.
Grazie a Platina abbiamo queste notizie e possiamo rapportare questi trattati con le testimonianze giunte sino a noi dei convivi; testimonianze e rapporti con i trattati che sono andata a dipanare in molti anni e in ogni angolo italiano e europeo.
Ho dovuto, oltre a anni di studi e comparazioni, di confronti infiniti, anche imparare a cucinare per provare quanto appreso e ho fatto gavette infinite nelle cucine stellate europee, apprendendo così professionalità e approfondita conoscenza della materia prima e della sua composizione alchemica, che vanno a comporre poi il prodotto finale."
Per ora mi fermo qui, giusto per far si che possiate prendere conoscenza di tempi e personaggi, per portare in seguito approfondite tematiche e anche il mio ricettario "segreto" che vi permetterà di cucinare a vostra volta questi manicaretti e quindi amare tempi e storia antichi.

Norma Torrisi Fubini