Cerca nel blog

Translate

giovedì 14 marzo 2013

FOOD HISTORY- Bartolomeo Scappi, il cuoco dei papi nel Rinascimento italiano


L'OPERA DI BARTOLOMEO SCAPPI MAESTRO DELL'ARTE DEL CUCINARE 
Con la quale si può ammaestrare qual si voglia cuoco, scalco, trinciante, o maestro di casa: 
Divisa in sei libri ... : con le figure che fanno di bisogno nella cucina. Aggiontovi nuovamente il Trinciante [di Vincenzo Cervio], et il Mastro di casa [del Sig. Cesar Pandini ...]

L'autore, Bartolomeo Scappi
Oggi vi parlerò di una figura determinante nella cucina del tardo Rinascimento, la cui opera ha anticipato molte delle caratteristiche che distinguono la cucina italiana moderna.
Avevo avuto modo di approfondirla in merito all'evento Bologna 2000, laddove avevamo proposto un itinerario gastronomico rinascimentale, e qui ve la ripropongo volentieri. 
Il suo trattato culinario è famosissimo, e dovrebbe rappresentare un imprescindibile conoscenza per ogni cuoco.

Il personaggio è Bartolomeo SCAPPI, (Dumenza1500 – Roma13 aprile 1577) anche definito il cuoco dei Papi.

L’OPERA dello SCAPPI, uno dei più grandi maestri cuochi di ogni tempo, rappresenta infatti l’insuperato capolavoro della trattatistica culinaria dei secoli passati.

Bartolomeo SCAPPI sta alla cucina come MICHELANGELO alle belle arti. Il suo manuale di culinaria per la bellezza della stampa, la metodica presentazione e la comprensibilità, costituisce un tipico esempio della lineare eleganza dell’Alto rinascimento.
Nessun libro altrettanto autorevole ha fatto la propria comparsa prima della metà del XVII secolo e nessuno ha potuto competere con l’OPERA per la serie di vivaci e scrupolosi disegni illustranti la cucina ideale fornita dall’attrezzatura indispensabile al cuoco provetto. 
Il testo è esauriente quanto le illustrazioni e le ricette sono così precise nei particolari e così chiaramente elencate da eclissare parecchi moderni libri di cucina. Bisogna infatti ricordare che a Bartolomeo Scappi si devono le tecniche dell'l'infarinatura e dell'impanatura, come anche la sigillatura delle carni bianche e rosse prima della cottura; inoltre fu il primo ad utilizzare i prodotti che arrivavano solo allora dalle Americhe.


Le origini del nostro maestro cuciniere sembrano avvolte nell’ombra. 
Alcuni lo davano per Veneto, suffragata ipotesi anche dal fatto che il libro fu stampato a Venezia.
Lo studio di Luigi FIRPO lo dice di ceppo bolognese. La presenza a Bologna della famiglia SCAPPI, ritenuta originaria di S. Lorenzo in Collina, è, infatti, documentata fin dal secolo XIII quando i suoi membri aderirono alla frazione guelfa dei Geremei e appartennero al Consiglio dei 2ooo e a quello dei 6oo. Dopo aver ricoperto importanti magistrature civiche, gli Scappi furono aggregati al Senato bolognese per breve di papa Urbano VII nel 1590, cioè appena vent’anni dopo l’uscita dell’Opera. 

Si crede che a questa elevazione di rango abbia contribuito anche la fama raggiunta da Bartolomeo, la sua dimestichezza con l’ambiente della corte romana e soprattutto i piatti succulenti con cui prendeva per la gola il papa e i cardinali.
Fin da epoca antica gli Scappi possedettero una casa con annessa torre nel cuore di Bologna, fra la cattedrale di S. Pietro e la Piazza Maggiore. Su di essa sorse in seguito un dignitoso palazzo che inglobò la vecchia torre gentilizia, innalzata all’inizio del Duecento da Pietro Scappi e tuttora esistente.
É quindi da credere che Bartolomeo, anche se certamente non al ceppo nobile, appartenesse a un ramo secondario dell’antica famiglia di Bologna.
La sua “bolognesità” risulta evidente da altri indizi. 

Vincenzo Campi - La cucina - 1580 ca., Milano, Pinacoteca di Brera

Anzitutto come cuoco fu al servizio del celebre cardinale bolognese Lorenzo Campeggi, legato del Papa in Inghilterra al tempo di Enrico VIII e impegnato in delicate missioni diplomatiche della S. Sede tra cui il difficile negoziato per il divorzio del sovrano inglese da Caterina d’Aragona. 
E forse fu proprio il Campeggi a scoprire nella natia Bologna questo cuoco promettente e a prenderlo alle proprie dipendenze, spianandogli così la strada per una carriera mirabile e affidandogli nel 1536 la realizzazione di un sontuoso banchetto allestito a Roma in onore di Carlo V, che il nostro chef descrive minutamente nel suo trattato (vi erano ammanniti ben 780 piatti).
Morto nel 1539 il suo "talent scout", lo Scappi non dovette muoversi da Roma, passando forse al servizio del cardinal Carpi e consolidando la propria fama in occasione del lungo conclave svoltosi dal 29 novembre 1549 al 7 febbraio 1550 da cui uscì eletto papa Giulio III.
Il banchetto del conclave 

Egli fu, infatti, tra i cuochi incaricati di somministrare i cibi ai cardinali affluiti a Roma come ricorda lui stesso con abbondanza di particolari nel suo trattato. Continuò a prestare i suoi servigi alla Chiesa anche sotto il pontefice successivo, il lombardo Pio V, che lo Scappi dice di avere servito nel “felice anno 1546”, segnalando la sua predilezione per budini, sformati e cosce di rane fritte con aglio e prezzemolo.

Tavole dell'Opera di Bartolomeo Scappi, che illustra l'attrezzatura in cucina
Tre anni più tardi, il 17 gennaio 1567, allestì il banchetto celebrativo del primo anniversario dellincoronazione del papa Pio V, di cui lo Scappi si definisce “cuoco segreto”, cioè privato. Anche questo papa, benché nato in provincia di Alessandria, era (particolare interessante) di famiglia di origine bolognese, quella dei Ghisilieri, un ramo dei quali si era rifugiato in Piemonte alla metà del ‘400 dopo l’uccisione di Annibale I Bentivoglio.
El Greco - Pio V

Ma c’e’ di più: nella prima pagina di OPERA, parlando col suo discepolo Giovanni, lo Scappi manifesta la più profonda devozione verso il “molto reverendo signor Alessandro Casale” per i “favori che si è degnato di farci, in ogni nostro affare” e per la “protezione che sempre ha pigliato per noi con ogni persona”. Or bene, Monsignore Casali era un bolognese puro sangue e fu in stretti rapporti con Pio V da cui ricevette la nomina a nunzio apostolico in Spagna presso la corte di Filippo II, venendo in seguito nominato vescovo di Vigevano da un altro bolognese, il futuro papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni.
Insomma l’ambiente che orbitava attorno alla SCAPPI, PER UN VERSO O PER L’ALTRO, SI RICOLLEGA A BOLOGNA.

E non è inoltre improbabile che bolognese fosse pure il suo stesso discepolo Giovanni, affidatogli per apprendere i rudimenti dell’arte culinaria proprio da Monsignore Casali, che “con tanta fatica – afferma il maestro rivolto all’allievo – si è pigliato cura che ne siate venuto in pratica”. D’altra parte Bologna, già allora designata con l’appellativo antonomastico di “grassa”, andava famosa per l’opulenza della sua cucina e sfornava gastronomi di vaglia, passati al servizio di cardinali e principi italiani, come Giulio Cesare TIRELLI che fu per anni cuoco della Serenissima Repubblica di Venezia o come suo nipote Bartolomeo Stefani che rivelò tutto il suo estro presso la corte mantovana dei Gonzaga all’epoca dei duchi Carlo II e Carlo Ferdinando e che nel 1662 dette alle stampe “L’ARTE DI BEN CUCINARE”, un altro caposaldo della letteratura culinaria dei secoli passati.
Vincenzo Campi - Venditori di polli

Maturo di anni e di esperienze, nel 1570 lo Scappi, dopo aver ottenuto da Pio V il privilegio di stampa ed essersi assicurato il rispetto del copyright anche da parte del Granduca di Toscana Cosimo de’ Medici, affidava al tipografo veneziano Michele Tramezzino il frutto di una vita spesa ad affinare i segreti della buona tavola o, per usare le sue stesse parole, “quel tanto che o con la consideratione delle cose o con l’esperienza ha ritrovato, acciò non potendo ogn’uno da sé stesso attendere a tutte le cose necessarie e utili al vivere hanno, possa dell’altrui fatiche valersi”

Un manuale con finalità didattiche, quindi, rivolto a un’ampia schiera di fruitori in un settore, come quello della cucina, caratterizzato dalla gelosia e dall’ostinata chiusura mentale di molti cuochi che, “tenendo celati i loro segreti non solo col mezzo della penna ricusano pubblicarli, ma anco con la parola verso a particolari avari se ne mostrano”.
A convincere lo Scappi a dare alle stampe la sua opera furono alcune “persone amorevoli e giudiciose, le quali giudicandola dover essere utile a molti, l’han voluta all’uso comune presentare”
Dietro questo scopo pratico immediato se ne cela uno più universale, di indole igienica, anzi morale: “Le regole e gli ammaestramenti in quest’arte habbiano a delettare tutti i sensi hamni e conservare et accrescere ancora la sanità perfetta ne i corpi nostri sempre che se ne vogliono valere col debito temperamento e col saggio discorso della ragione”.

Il successo del trattato, il più vasto ed esauriente fra quanti erano stati fino allora pubblicati, fu ovviamente enorme, grazie anche al corredo di ventotto nitide tavole incise in rame che illustrano i diversi ambienti della cucina con tutto il loro campionario di suppellettili e arredi e che formano anche oggi una fonte preziosissima di documentazione (saccheggiata a più riprese da quasi tutti i moderni libri di cucina e di storia gastronomica).
Una delle ricette dell'Opera

Con le sue oltre mille ricette il volume, come nota giustamente Luigi FIRPO, rappresenta “una summa sistematica, frutto d’innumerevoli esperienze codificate e filtrate da una rielaborazione unitaria per merito di un redattore lucido, asciutto, efficiente, che usa un linguaggio tecnico altamente specializzato”.
Lo Scappi ebbe una personalità di rilievo nell’ambito della cultura materiale rinascimentale, ma soprattutto ha il merito dell’attiva funzione di regista e di autentico testimone di un costume, cioè di vero e proprio autore, particolarmente evidente nella concezione unitaria del volume, nella sua coerenza scientifica e nelle finalità pratiche della trattazione che forma “la sintesi di una dottrina accertata dal lavoro di ogni giorno, di un magistero e di un ufficio educativo tradotti in termini d’esempio”.
L’entusiastica accoglienza del pubblico è attestata dalle numerose riedizioni che l’opera ebbe tra il secolo XVI e il XVII. Alcune ristampe furono promosse negli anni successivi alla prima apparizione da parte dello stesso tipografo veneziano Tramezzino e dei suoi eredi (una risale al 1581).

Lo Scappi nei sei “libri” o capitoli del suo lavoro, si sofferma sui principi generali dell’arte culinaria, sulle carni, il pollame, i pesci, le paste, i cibi per i giorni di grasso e di magro, nonché sulle vivande per malati e convalescenti. 
Particolare attenzione è dedicata agli aspetti igienici e dietetici degli alimenti, un tema, questo, che pare stesse molto a cuore ai gastronomi della sua epoca e che egli stesso, come cuoco di cardinali e papi piuttosto attempati e già acciaccati, aveva certamente avuto più volte occasione di affrontare nella realtà.
Tavole dell'Opera di Bartolomeo Scappi, che illustra i procedimenti della cottura

L’autore rivela anche la sua predilezione per le marinate e per i cibi stufati o cotti a bagnomaria nonché per le paste, di cui offre oltre duecento differenti versioni ivi compreso uno dei più antichi esemplari di pasta sfoglia. Inoltre, primo fra i cuochi europei, si addentra fra i meandri dell’arte araba della pasticceria.
L’attenta lettura delle pagine dell’Opera ci restituisce lo Scappi nella sua autentica statura, quella di vero cuoco della sua epoca. Lo conferma del resto anche il letterato contemporaneo Giovanni Paolo LOMAZZO che gli dedicò due sonetti nei suoi Grotteschi usciti nel 1587 (quindi in tale anno il nostro viveva ancora), definendolo uomo che il secol nostro adorna e tutto il mondo / tanto dell’arte hai ricercato il fondo”.

Riassumendo si può rilevare che il trattato dello SCAPPI segna l’acme, l’apoteosi, della supremazia della cucina italiana sulla scena gastronomica europea del pieno cinquecento. Una supremazia che però di lì a poco avrebbe conosciuto un lento ma inarrestabile declino. 
E fu subito Francia.

1 commento: