L'OPERA DI BARTOLOMEO SCAPPI MAESTRO DELL'ARTE
DEL CUCINARE
Con la quale si può ammaestrare qual si voglia cuoco, scalco, trinciante, o maestro di casa:
Divisa in sei libri ... : con le figure che fanno di bisogno nella cucina. Aggiontovi nuovamente il Trinciante [di Vincenzo Cervio], et il Mastro di casa [del Sig. Cesar Pandini ...]. L'autore, Bartolomeo Scappi |
Avevo avuto modo di approfondirla in merito all'evento Bologna 2000, laddove avevamo proposto un itinerario gastronomico rinascimentale, e qui ve la ripropongo volentieri.
Il suo trattato culinario è famosissimo, e dovrebbe rappresentare un imprescindibile conoscenza per ogni cuoco.
Il personaggio è Bartolomeo SCAPPI, (Dumenza, 1500 – Roma, 13 aprile 1577) anche definito il cuoco dei Papi.
L’OPERA dello SCAPPI, uno dei più grandi maestri cuochi di ogni
tempo, rappresenta infatti l’insuperato capolavoro della trattatistica culinaria dei
secoli passati.
Bartolomeo SCAPPI sta alla cucina come MICHELANGELO alle belle
arti. Il suo manuale di culinaria per la bellezza della stampa, la metodica
presentazione e la comprensibilità, costituisce un tipico esempio della lineare
eleganza dell’Alto rinascimento.
Nessun libro altrettanto autorevole ha fatto la propria comparsa
prima della metà del XVII secolo e nessuno ha potuto competere con l’OPERA per
la serie di vivaci e scrupolosi disegni illustranti la cucina ideale fornita
dall’attrezzatura indispensabile al cuoco provetto.
Il testo è esauriente
quanto le illustrazioni e le ricette sono così precise nei particolari e così
chiaramente elencate da eclissare parecchi moderni libri di cucina. Bisogna infatti ricordare che a Bartolomeo Scappi si devono le tecniche dell'l'infarinatura e dell'impanatura, come anche la sigillatura delle carni bianche e rosse prima della cottura; inoltre fu il primo ad utilizzare i prodotti che arrivavano solo allora dalle Americhe.
Le origini del nostro maestro cuciniere sembrano avvolte
nell’ombra.
Alcuni lo davano per Veneto, suffragata ipotesi anche dal fatto che
il libro fu stampato a Venezia.
Lo studio di Luigi FIRPO lo dice di ceppo bolognese. La presenza a
Bologna della famiglia SCAPPI, ritenuta originaria di S. Lorenzo in Collina, è,
infatti, documentata fin dal secolo XIII quando i suoi membri aderirono alla
frazione guelfa dei Geremei e appartennero al Consiglio dei 2ooo e a quello dei
6oo. Dopo aver ricoperto importanti magistrature civiche, gli Scappi furono
aggregati al Senato bolognese per breve di papa Urbano VII nel 1590, cioè
appena vent’anni dopo l’uscita dell’Opera.
Si crede che a questa elevazione di
rango abbia contribuito anche la fama raggiunta da Bartolomeo, la sua
dimestichezza con l’ambiente della corte romana e soprattutto i piatti
succulenti con cui prendeva per la gola il papa e i cardinali.
Fin da epoca antica gli Scappi possedettero una casa con annessa
torre nel cuore di Bologna, fra la cattedrale di S. Pietro e la Piazza
Maggiore. Su di essa sorse in seguito un dignitoso palazzo che inglobò la
vecchia torre gentilizia, innalzata all’inizio del Duecento da Pietro Scappi e
tuttora esistente.
É quindi da credere che Bartolomeo, anche se certamente non al
ceppo nobile, appartenesse a un ramo secondario dell’antica famiglia di
Bologna.
La sua “bolognesità” risulta evidente da altri indizi.
Vincenzo Campi - La cucina - 1580 ca., Milano, Pinacoteca di Brera |
Anzitutto
come cuoco fu al servizio del celebre cardinale bolognese Lorenzo Campeggi,
legato del Papa in Inghilterra al tempo di Enrico VIII e impegnato in delicate
missioni diplomatiche della S. Sede tra cui il difficile negoziato per il
divorzio del sovrano inglese da Caterina d’Aragona.
E forse fu proprio il
Campeggi a scoprire nella natia Bologna questo cuoco promettente e a prenderlo
alle proprie dipendenze, spianandogli così la strada per una carriera mirabile
e affidandogli nel 1536 la realizzazione di un sontuoso banchetto allestito a
Roma in onore di Carlo V, che il nostro chef descrive minutamente nel suo
trattato (vi erano ammanniti ben 780 piatti).
Morto nel 1539 il suo "talent scout", lo Scappi non dovette muoversi
da Roma, passando forse al servizio del cardinal Carpi e consolidando la
propria fama in occasione del lungo conclave svoltosi dal 29 novembre 1549 al 7
febbraio 1550 da cui uscì eletto papa Giulio III.
Il banchetto del conclave |
Egli fu, infatti, tra i cuochi incaricati di somministrare i cibi
ai cardinali affluiti a Roma come ricorda lui stesso con abbondanza di
particolari nel suo trattato. Continuò a prestare i suoi servigi alla Chiesa
anche sotto il pontefice successivo, il lombardo Pio V, che lo Scappi dice di
avere servito nel “felice anno 1546”, segnalando la sua predilezione per
budini, sformati e cosce di rane fritte con aglio e prezzemolo.
Tavole dell'Opera di Bartolomeo Scappi, che illustra l'attrezzatura in cucina |
Tre anni più tardi, il 17 gennaio 1567, allestì il banchetto
celebrativo del primo anniversario dell’incoronazione del papa Pio V, di cui lo
Scappi si definisce “cuoco segreto”, cioè privato. Anche questo papa, benché
nato in provincia di Alessandria, era (particolare interessante) di famiglia di
origine bolognese, quella dei Ghisilieri, un ramo dei quali si era rifugiato in
Piemonte alla metà del ‘400 dopo l’uccisione di Annibale I Bentivoglio.
El Greco - Pio V |
Ma c’e’ di più: nella prima pagina di OPERA, parlando col suo
discepolo Giovanni, lo Scappi manifesta la più profonda devozione verso il
“molto reverendo signor Alessandro Casale” per i “favori che si è degnato di
farci, in ogni nostro affare” e per la “protezione che sempre ha pigliato per
noi con ogni persona”. Or bene, Monsignore Casali era un bolognese puro sangue
e fu in stretti rapporti con Pio V da cui ricevette la nomina a nunzio
apostolico in Spagna presso la corte di Filippo II, venendo in seguito nominato
vescovo di Vigevano da un altro bolognese, il futuro papa Gregorio XIII, al
secolo Ugo Boncompagni.
Insomma l’ambiente che orbitava attorno alla SCAPPI, PER UN VERSO
O PER L’ALTRO, SI RICOLLEGA A BOLOGNA.
E non è inoltre improbabile che bolognese fosse pure il suo stesso
discepolo Giovanni, affidatogli per apprendere i rudimenti dell’arte culinaria
proprio da Monsignore Casali, che “con tanta fatica – afferma il maestro
rivolto all’allievo – si è pigliato cura che ne siate venuto in pratica”.
D’altra parte Bologna, già allora designata con l’appellativo antonomastico di
“grassa”, andava famosa per l’opulenza della sua cucina e sfornava gastronomi
di vaglia, passati al servizio di cardinali e principi italiani, come Giulio
Cesare TIRELLI che fu per anni cuoco della Serenissima Repubblica di Venezia o
come suo nipote Bartolomeo Stefani che rivelò tutto il suo estro presso la
corte mantovana dei Gonzaga all’epoca dei duchi Carlo II e Carlo Ferdinando e
che nel 1662 dette alle stampe “L’ARTE DI BEN CUCINARE”, un altro caposaldo
della letteratura culinaria dei secoli passati.
Vincenzo Campi - Venditori di polli |
Maturo di anni e di esperienze, nel 1570 lo Scappi, dopo aver
ottenuto da Pio V il privilegio di stampa ed essersi assicurato il rispetto del
copyright anche da parte del Granduca di Toscana Cosimo de’ Medici, affidava al
tipografo veneziano Michele Tramezzino il frutto di una vita spesa ad affinare
i segreti della buona tavola o, per usare le sue stesse parole, “quel tanto che
o con la consideratione delle cose o con l’esperienza ha ritrovato, acciò non
potendo ogn’uno da sé stesso attendere a tutte le cose necessarie e utili al
vivere hanno, possa dell’altrui fatiche valersi”.
Un manuale con finalità
didattiche, quindi, rivolto a un’ampia schiera di fruitori in un settore, come
quello della cucina, caratterizzato dalla gelosia e dall’ostinata chiusura mentale
di molti cuochi che, “tenendo celati i loro segreti non solo col mezzo della
penna ricusano pubblicarli, ma anco con la parola verso a particolari avari se
ne mostrano”.
A convincere lo Scappi a dare alle stampe la sua opera furono
alcune “persone amorevoli e giudiciose, le quali giudicandola dover essere
utile a molti, l’han voluta all’uso comune presentare”.
Dietro questo scopo
pratico immediato se ne cela uno più universale, di indole igienica, anzi
morale: “Le regole e gli ammaestramenti in quest’arte habbiano a delettare
tutti i sensi hamni e conservare et accrescere ancora la sanità perfetta ne i
corpi nostri sempre che se ne vogliono valere col debito temperamento e col
saggio discorso della ragione”.
Il successo del trattato, il più vasto ed esauriente fra quanti
erano stati fino allora pubblicati, fu ovviamente enorme, grazie anche al
corredo di ventotto nitide tavole incise in rame che illustrano i diversi
ambienti della cucina con tutto il loro campionario di suppellettili e arredi e
che formano anche oggi una fonte preziosissima di documentazione (saccheggiata
a più riprese da quasi tutti i moderni libri di cucina e di storia
gastronomica).
Una delle ricette dell'Opera |
Con le sue oltre mille ricette il volume, come nota giustamente
Luigi FIRPO, rappresenta “una summa sistematica, frutto d’innumerevoli
esperienze codificate e filtrate da una rielaborazione unitaria per merito di
un redattore lucido, asciutto, efficiente, che usa un linguaggio tecnico
altamente specializzato”.
Lo Scappi ebbe una personalità di rilievo nell’ambito della cultura
materiale rinascimentale, ma soprattutto ha il merito dell’attiva funzione di
regista e di autentico testimone di un costume, cioè di vero e proprio autore,
particolarmente evidente nella concezione unitaria del volume, nella sua coerenza
scientifica e nelle finalità pratiche della trattazione che forma “la sintesi
di una dottrina accertata dal lavoro di ogni giorno, di un magistero e di un
ufficio educativo tradotti in termini d’esempio”.
L’entusiastica accoglienza del pubblico è attestata dalle numerose
riedizioni che l’opera ebbe tra il secolo XVI e il XVII. Alcune ristampe furono
promosse negli anni successivi alla prima apparizione da parte dello stesso
tipografo veneziano Tramezzino e dei suoi eredi (una risale al 1581).
Lo Scappi nei sei “libri” o capitoli del suo lavoro, si sofferma
sui principi generali dell’arte culinaria, sulle carni, il pollame, i pesci, le
paste, i cibi per i giorni di grasso e di magro, nonché sulle vivande per
malati e convalescenti.
Particolare attenzione è dedicata agli aspetti igienici
e dietetici degli alimenti, un tema, questo, che pare stesse molto a cuore ai
gastronomi della sua epoca e che egli stesso, come cuoco di cardinali e papi
piuttosto attempati e già acciaccati, aveva certamente avuto più volte
occasione di affrontare nella realtà.
Tavole dell'Opera di Bartolomeo Scappi, che illustra i procedimenti della cottura |
L’autore rivela anche la sua predilezione per le marinate e per i
cibi stufati o cotti a bagnomaria nonché per le paste, di cui offre oltre
duecento differenti versioni ivi compreso uno dei più antichi esemplari di pasta
sfoglia. Inoltre, primo fra i cuochi europei, si addentra fra i meandri
dell’arte araba della pasticceria.
L’attenta lettura delle pagine dell’Opera ci restituisce lo Scappi
nella sua autentica statura, quella di vero cuoco della sua epoca. Lo conferma
del resto anche il letterato contemporaneo Giovanni Paolo LOMAZZO che gli dedicò
due sonetti nei suoi Grotteschi usciti nel 1587 (quindi in tale anno il nostro
viveva ancora), definendolo uomo “che il secol nostro adorna e tutto il mondo /
tanto dell’arte hai ricercato il fondo”.
Riassumendo si può rilevare che il trattato dello SCAPPI segna
l’acme, l’apoteosi, della supremazia della cucina italiana sulla scena
gastronomica europea del pieno cinquecento. Una supremazia che però di lì a
poco avrebbe conosciuto un lento ma inarrestabile declino.
E fu subito Francia.
!!!
RispondiElimina