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mercoledì 29 ottobre 2014

FOOD RECIPE - PALETS DE BRETAGNE

I PALETS DI BRETAGNE, biscotti burrosi per palati sopraffini

Buongiorno!!! condivido con voi la ricetta dei palets di Bretagna, che io adoro. Tempo fa avevo acquistato una scatola di biscotti di Jacques Menou, una pasticceria francese della Bretagna che ha una tradizione famigliare dal lontano 1879. Sono biscotti friabili e burrosi, altamente burrosi! Non vanno assolutamente bene se siete in fase di dieta, attenzione! Sono invece ideali compagni di pause caffè, pause té, e ogni qualvolta  avete proprio bisogno di un premio di consolazione, di un dolcino fragrante che pizzica, a metà tra dolce e salato... La tradizione vuole che si spolveri del fiore di sale appena infornati, sarà questo che darà un sapore particolare, l'incontro tra dolce e salato... 
E ora veniamo alla ricetta: ho trovato questa direttamente dal sito del pasticcere francese:





L'originale ricetta di Jacques Menou

- 2 tuorli
- 100g di zucchero
- 100 g di burro
- Farina 140g
- 5 g di lievito ( 1/2 sacchetto )
- 2 g di sale


Sbattere i tuorli con lo zucchero e il sale. Aggiungere il burro ammorbidito prima, poi la farina e il lievito. 
Fare un rotolo e avvolgerlo nella pellicola, lasciate riposare in frigo 3 ore. Preriscaldare il forno a 170 ° C.
Tagliare il rotolo in fette abbastanza spesse.
Mettere le fiches in stampi.
Tempo di cottura: circa 15 min .
E voilà i vostri biscotti sono pronti per essere gustati...

Ma non contenta di questo, ho fatto ulteriori ricerche e ho trovato questa, che mi sembrava più fedele: è del celebre Pierre Hermé, noto pasticcere francese, conosciuto soprattutto per i suoi macarons. Ha infatti lavorato molto con Ladurée, ma anche con Gaston Lenôtre, che per lui è stato un maestro. 

INGREDIENTI
325 g di farina
1 cucchiaino di lievito
300 g di burro
175 g di zucchero
1 cucchiaino di fiore di sale
5 tuorli d’uovo
Per iniziare, prendere del burro ammorbidito (meglio se a temperatura ambiente). Se non avete tempo per farlo ammorbidire, invece di usare il forno a microonde, che facilita ma che a volte lo fa diventare troppo molle, inserite il burro tra due fogli di carta da forno e con un mattarello batterlo bene, più volte, vedrete che diventerà molto morbido e facile da lavorare. Infatti, per fare il burro a pomata, si necessita di un burro né troppo duro né troppo morbido.


Si amalgama quindi il burro con lo zucchero e il sale, fino a raggiungere una bella consistenza cremosa e senza grumi. 
Aggiungere uno per volta i tuorli, fare assorbire bene, mescolare e aggiungere a pioggia la farina con il lievito, sempre poco per volta, si otterrà un impasto molto morbido. 

Lavorare la pasta fino ad ottenere un rotolo o più rotoli della dimensione standard di un biscotto tradizionale. Dovrà essere messo in frigorifero a riposare avvolto in pellicola per almeno 4 ore, se non una notte intera. 
Quindi prendere il rotolo e tagliarlo a fette abbastanza spesse, di un centimetro, e metterle a cuocere in cerchi di ferro o negli stampi per muffin. Molto importante!! Questi biscotti prenderanno la forma del loro contenitore, perché con il calore il burro tenderà a sciogliersi e senza supporto si appiattiranno notevolmente! 
Io purtroppo non disponevo se non di pochi contenitori appositi, quindi questo consiglio deriva da esperienza provata. 
Comunque, prima di infornare spargere il fiore di sale sui biscottini. 



Il forno deve essere acceso a 165 gradi, e la cottura varia dai 15 ai 18 minuti.

Lasciateli raffreddare su una gratella e sono pronti per essere gustati. 
Io ne sono entusiasta!! Anche se dalle foto si vedono quelli piatti, vi assicuro che sono tutti egualmente buoni. Certamente quelli in forma originale, cotti dentro ai cerchi di ferro sono più gustosi ancora, perché al loro interno sono morbidi e croccanti e leggermente salati in superficie.
Che dire? Provateli!


©PHOTO EDITING - elisa roattino

martedì 28 ottobre 2014

FOOD WORLD - Salone Internazionale del gusto - Torino - 2014

Impressioni, forse un po' critiche, nei confronti di una manifestazione che ha raggiunto alte vette di popolarità. Forse a discapito di una vera fruizione?

Da tanti anni oramai, con scadenza biennale – alternandola a Cheese, che si svolge in Bra sul fare dell'estate – nella sabauda città adagiata tra le Alpi avviene questa kermesse.

Mi ricordo ancora la prima edizione, allegra, con grandi allestimenti regionali, con i produttori che avevano portato progetti e il meglio della loro produzione e fantasia, con assaggi copiosi, il chiacchiericcio molto conviviale, laboratori pieni di partecipanti attenti e consapevoli, showcooking con le giovani promesse che sarebbero divenute di lì a poco chef stellari universali, punti ristoro meravigliosamente allestiti, panchine per ristorare i piedi e il passo, insomma il cibo che incontrava il fruitore dello stesso senza mezzi termini, anche di stupore...


































Negli anni questo entusiasmo è rimasto, ha permeato tutto, sin quando pian piano la situazione è mutata, sempre con meno sfarzo, forse centralità più verso il prodotto, ma si è iniziato a pagare tutto, compresi gli assaggi… e l'allegria è andata via via scemando, complice il fatto che la crisi ha invaso tutti i settori, compreso il comparto food... ma inverosimilmente ovunque nei media la parola cibo e biologico è spalmata e oramai è divenuto un lavoro, anche solo parlarne.
La professionalità però di molti e tanti che ne chiacchierano non credo sia aumentata. Io ritrovo sempre più improvvisazione e una sorta di svolta del vivere o sopravvivere di molti che nel settore ora sguazzano. 
La competenza è fatta di duro lavoro, di conoscenza della materia, della sua storia, del prodotto per averlo conosciuto e scoperto. 
Lo vedo oramai come una moda, un rifugio per molti che non sapendo collocarsi transitano in questo settore perché è il più semplice e in gran voga...
Quindi la spettacolarizzazione ha portato, secondo il mio modesto parere, la qualità verso il basso e certificando anche nell'olimpo produttori e prodotti che in quel luogo non dovrebbero stare.
Detto questo, proprio per muovere una critica ad una kermesse meritevole di molto, ma che propone ingresso molto alto di prezzo, non dando come un tempo una gratificazione che ne giustifichi questo, con punti ristoro sempre di poco numero, con sedili inusuali quando si parla di cibo italiano, con inesistenti luoghi per fermarsi un attimo e darci ristoro al passo, con produttori mesti e allestimenti tristi e mal in arnese, con laboratori senza paratie che ti fan perdere la concentrazione e il rumore dei corridoi entra nelle aule e non si comprende nulla della chiacchiera dell'oratore...

Anche nel settore straniero il tutto ha perso lo smalto, la grinta, la verve proponitrice; inizialmente soprattutto il cosiddetto terzo mondo portava anche il suo colore e la sua modalità del vestire, ora è raro.

Saranno anche tempi di crisi, ma non ci vuol nulla o poco ad allestire in modo da portare ottimismo e allegria... porgere la qualità in modo più “agreable”,  anche perché i prodotti non han certo costi bassi. Certo si paga volentieri per il cibo di qualità, ma l’impressione generale è che tutto è diventato un commercio.

Qui in contrasto con le parole del fondatore Carlin Petrini che incita a non far diventare il comparto in una mera questione di commercio.

Terra Madre è stato l'evento portato all'interno del Salone da una decina d'anni, una scommessa forte perché voleva dire andare a lavorare nel vasto territorio del mondo, sovente in contrasto forte con le politiche di quei paesi che talvolta sono retti da dittatori o da usanze ataviche non certo favorevoli a presidi e a biodiversità.
I progetti sono aumentati, si propongono possibilità per risolvere il problema della mancanza di nutrimento in paesi depauperati da guerre e crisi ambientali, sono ritornati in uso coltivazioni estinte... questo è ciò che la kermesse propone e Slow Food, un tempo Arcigola, perora, tutela e garantisce.
La terra è la nostra alleata quotidiana, dobbiamo avere cura di lei e proteggere il nostro cibo con amore e passione.


E' bello vedere molti giovani nei corridoi che sono interessati alle proposte, che acquistano, si informano, assaggiano e confrontano. 
Ciò sta a significare che il molto lavoro sta andando nella direzione giusta, sensibilizzando sempre più alla qualità che non vuol dire necessariamente dover essere più esosa.

Debbo confessare che Cheese di Bra mi piace di più. Sarà forse perché si svolge per le vie della cittadina, nei cortili, nelle piazze, con l'apporto delle strutture locali che svolgono la funzione di supporto logistico. 
C'è più gioia, passione, più partecipazione di tutti.
Che sia questa la modalità per riportare quell'entusiasmo dell'inizio?  






Portare al di fuori di mura chiuse come sono quelle fredde e impersonali di un salone, anche e soprattutto se si parla di Food street, che all'interno del Lingotto era situato in un tunnel con odori forti che si mescolavano e non portavano ad assaporare al meglio. 

Lo so, l’organizzazione in un salone porta meno scompiglio in una città, il salone è già attrezzato per l’afflusso di tantissima gente, ma io preferirei vedere la manifestazione nelle strade, nei parchi, forse è una soluzione, o comunque un suggerimento.



Detto questo, ho scoperto con molta gioia che le patate viola le produciamo anche noi in val Belbo e quindi sosteniamo una produzione di montagna e locale.
Inoltre ho scoperto:
  • che il burro salato non è più solo proprietà di marchi stranieri!
  • che si propone il taglio del prosciutto crudo a coltello, come è giusto che sia;
  • che si vendono piantini di basilico adatto a fare pesto di qualità;
  • che si propongono le varietà differenti di aglio, ciascuno adatto ad un differente uso nel cibo e nell'uso;
  • che ci sono aziende agricole che vedono giovani protagonisti, perché il futuro della terra è nelle loro mani e nel loro entusiasmo.
Dobbiamo alzare la qualità del nostro quotidiano cibo, cercando di non sciupare nulla, di cibarsi meno ma al meglio, educando sin da bambini al gusto e al discernimento... ecco che la questione mense scolastiche diviene di attualità e si crea così il virtuosismo che da sempre si propone e ci si augura avvenga.

Slow Food ha avuto sin dalla notte dei tempi questa grande intuizione, ma credo ora debba veramente tutelarne le modalità e le connessioni... perché il cibo non debba divenire mero commercio, ma nasca dalla passione e dall'amore per il nutrirsi con gusto e grande qualità.

©PHOTO EDITING - elisa roattino


FOOD THE WINE - Le vigne impossibili

Quando la coltivazione delle uve e la vinificazione diventa eroica!
Liguria - Cinque Terre

Vi voglio parlare di vigne impossibili, di vigne difficili. Sono le vigne che sono state impiantate, quasi come scommessa, a picco sul mare, su terreni rocciosi che rubano metro su metro alla montagna. Divengono così uve rare e preziose che vengono salvate con fatica dall'estinzione. Quindi sarà fatica e sudore e anche tanta surreale follia, ma anche i sogni possono realizzarsi e così nasce la viticultura eroica.
Ostacoli se ne trovano, sempre e quasi quotidianamente, anche perché la fatica suprema sarà quella di andare ad accudirla a piedi, scarpinando in salita con le gerla sulle spalle nel raccoglierle, con pesi e discese ardite.
Sicilia - Pantelleria

Ma quando salirai lassù avrai davanti panorami infiniti, distese acquee o montagne con le vette innevate perenni. E' la volontà dell'uomo a crearle o sostenerle e sono così divenute paesaggi turistici e zone di produzione di prestigio, non dimenticando il fatto che con la loro cura si salvaguardia il territorio dall’abbandono e anche dalla tracimazione di acque e terra che frana.
Nascono così vini di grande spessore, intensità e vitigni autoctoni che vengono recuperati dall'oblio.
Vigneti a Carema (To)

Li troviamo al nord in Valle d'Aosta, Lombardia, Piemonte, Liguria, Trentino Alto Adige, Abruzzo, e anche al sud, in Calabria e in Sicilia.
Sono stati censiti dal CERVIM -  www.cervim.org  - che è un organismo internazionale nato nel 1987 con il compito di promuovere e salvaguardare la viticultura eroica.
Li hanno anche regimentati in modo tale da essere iscritti e tutelati, dando come indice la pendenza  del terreno superiore al 30%, l’altitudine superiore a 500 metri sul livello del mare, la coltivazione a terrazze e gradoni. Così vediamo che la Sicilia annovera i vigneti posti alle isole Eolie e qui davvero sono gradoni e pendenze.
Inoltre la zona deve essere inserita in un contesto strutturale e socio-economico penalizzante sotto il profilo della redditività aziendale, cito dal testo. Quindi tanta fatica, poco guadagno, vista la resa estremamente ridotta del terreni.
Ecco perché eroica, perché si lavora e il reddito sovente non è all'altezza di tale fatica, ma i luoghi sono meraviglie quali i muretti alle Cinque Terre, le vigne del Carema in valle Aosta, l'isolamento di certe parti del Piemonte, i problemi di irrigazione per Salina e Pantelleria, nonché agenti atmosferici forti e presenti.
Questa però è la poesia del coraggio che ritroviamo nel sorso che degustiamo, esce fuori tutta e il coraggio anche, queste uve hanno visto bellezza e assaporato aria pura e frizzante, talvolta.
Si annovera anche l'Europa, quali la valle del Douro in Portogallo, dove nasce il Porto, oppure in Germania dove nascono i riesling della Mosella e del Reno, o in Austria tra Stria e Wachau.
La Savoia e Cotes du Rhone nord, oppure la Galicia in Spagna dove vi cresce il Ribeira Sacra e qui ritroviamo veri e propri canyon...
Dunque ricordiamocene, la prossima volta che avremo la fortuna di assaporare uno di questi vini, perché è costata fatica, coraggio e tanta passione la loro venuta al mondo.

FOOD THE BOOK - Un filo d'olio - Simonetta Agnello Hornby

Ricette e racconti della Sicilia di un'autrice che amiamo

L'autrice di questo piccolo libro, edito dalla casa editrice siciliana Sellerio, è di già affermata avendo pubblicato parecchi volumi tradotti in diverse lingue del mondo; in ogni volume racconta la sua isola – la Sicilia – e sovente le vicende legate alla sua famiglia e al suo percorso di vita.
Sempre all'interno dei suoi volumi ritroviamo racconti legati al cibo e ricette appartenute alla sua dinastia ed al suo piacere di cucinare e conviviare con i suoi ospiti.
Avendo sposato un inglese vive a Londra, e fa l’avvocato di professione, ma il suo piacere alla scrittura l'ha da sempre coltivato e – pur se impegnata alquanto – trova i momenti per riempire pagine e dipanare ricordi.
Il filo d'olio del libro sopra citato è quello che la madre versava sopra le pietanze accuratamente preparate, assieme alla sorella, zia dell'autrice, ed era prodotto da un massaro della proprietà di famiglia. “Un vero toccasana”, sentenziava sempre la madre, “mette a posto tutto”.
Quel filo di olio è il legante che unisce parole e pagine e le sue estati in masseria, gli ospiti, i lavoranti della terra arsa e generosa siciliana, il sole cocente, i giochi con i suoi fratelli, la preparazione dei pasti.
Dalla madre ha appreso il preparare con grazia e dovizia la tavola, la scelta dei piatti che potessero accompagnare i colori delle vivande, le discussioni infinite sulla scelta delle tovaglie che erano ricamate dalle zie.
Un filo della memoria che ripercorre giorni e tempi, estati di villeggiatura, quaderni antichi dove si appuntavano da generazioni le ricette della casa e quelle donate dai conoscenti o dalle domestiche.
Un libro che si scorre con piacevolezza, che ci si appunta informazioni e ci induce a provare le tante ricette che vi sono descritte.
E' un ricettario dell'estate, un susseguirsi di pomodori ripieni, parmigiana di melanzane a modo nostro (della famiglia si intende), arrosto di coniglio cacciato dai massari, il pollo delle fattorie d'intorno alla casa avita... sono ricette gustose e semplici, che riportano i sapori della terra siciliana.
Scorrono i mesi e gli appunti, la vita di bambine ad occhi spalancati sulla vita e sulle vicende della stessa... Questo libro lo trovo indispensabile averlo nello scaffale accanto ai fuochi della cucina, come abbiamo i nostri quaderni che ci servono per prendere spunti per i pasti del nostro quotidiano.
Vi sono fotografie d'epoca di famiglia e ci piace immaginare quelle estati e la storia delle famiglie italiane, che han dato lustro e spessore alla nostra cultura.

lunedì 27 ottobre 2014

FOOD THE HISTORY - George Auguste Escoffier

Il cuoco dei re. Il re dei cuochi

Scrivere e raccontare di George Auguste Escoffier significa parlare dell'imperatore del gusto nonché del promotore della cucina francese. 
Lui sosteneva che l'arte culinaria doveva essere praticata con semplicità, valorizzando sapore e nutrimento dei cibi.
Questo suo pensiero l'ha perorato tutta la vita, lavorando indefessamente per costruire luoghi dove si santificava l'arte del gusto.
Come per molti uomini di quel tempo, iniziò a lavorare a 13 anni nelle cucine di uno zio in quel di Nizza; furono anni dove tutto il suo giovane sentire lo applicò all'arte dell'apprendere, tanto che a 19 divenne capo cuoco al seguito dell'Armat del Reno. Furono anni di guerra: fu al servizio del grande generale Mac Mahon, prigioniero a Sedan.
Appuntava tutto, verificava, progettava nel minimo dettaglio, un'arte che i cuochi di Francia han sempre avuto, allo stesso modo di illustri colleghi del passato. 
Per citarne qualcuno: Taillevent, Careme, ed ancora oggi i grandi chef sono ottimi organizzatori e imprenditori.
Finita la guerra ritorna a Nizza per lavorare sempre come capo cuoco e intanto il vento della Comune a Parigi spazza via teste e pregiudizi. Ritornando alla normalità lui sbarca al Petit Moulin Rouge che era frequentato da Gambetta, Princes de Galles, Sarah Bernardt e sempre il suo antico datore di lavoro, il generale Mac Mahon.
Fu un successo per i suoi menù, che lo renderanno celebre in futuro, con innovazione e sempre un occhio al passato glorioso della cucina del suo paese. 
I suoi menù sono veramente un'ottima fonte di studio per imparare ad organizzare una mise en place di stagione e di recupero. Possiedo il libro edito in Italia nel 1983 da una piccola casa editrice canavesana Serra e Riva ed è stato e ancora lo è fonte di consultazione per i miei studi e lavori.

Corre il tempo, cresce e diviene adulto, così che a 30 anni apre un suo ristorante a Cannes: Le Faisan Dorè; dal momento però che non è sua intenzione abbandonare gli avventori illustri della ville lumiere, segue con i suoi menù e la gestione di molti suoi ristoranti, ubicati non solo in Parigi ma anche in altre città importanti di Francia.
Amando progettare e sfidare il suo talento e la sua conoscenza, fonda una rivista: Art Culinaire, che ancora oggi viene editata con il nome di Revue culinaire.
Il 1883 è però l'anno della svolta: tramite il collega Jean Giroix prende contatto con l'uomo cardine del cambiamento, che l'avrebbe reso maestro assoluto della ristorazione, Cesare Ritzfondatore della catena omonima di alberghi di lusso nel mondo. 
Alberghi che saranno icone della Bella Epoque e di tanto lussureggiante divertimento dell'epoca.
Con Monsieur Ritz aprirà alberghi a Cannes, Parigi, Londra, (Carlton Hotel) Montecarlo, Lucerna, New York. Anche quando Ritz aprirà il Savoy di Londra, tornerà ad essere il braccio destro di questo imprenditore stellato fautore del buon vivere e del lusso.
Carlton Hotel - Londra 1906

Comprende che avendo molta carne al fuoco deve darsi un'organizzazione per la gestione e per i menù, mettendo a punto una progettazione per il servizio di ristorazione che sarà pietra miliare per il futuro di chi vuole operare in questo settore. Sempre e comunque promuoverà la cucina del suo paese, la cucina francese, l'haute cuisine.
Lo vediamo anche progettare menù per le compagnie di navigazione, ma una geniale trovata saranno i Dinner d'Epicure sulla scia del nome di una nuova rivista di gourmanderie: Le Carnet d'Epicure.
Tra il 1911 e il 1914 lui organizzerà i menù per queste cene eleganti e dalle pietanze eccellenti ed innovative per promuovere i fasti della gastronomia francese in diverse città del mondo in contemporanea. Saranno 147 le città che vedranno tenere corte alle sue tavole illustri cittadini, celebrità del tempo, attori di cinema, artisti e letterati. Sarà un successo planetario che rinvigorirà i fasti del suo nome e della collaborazione con Monsieur Ritz.

L'incontro con Ritz segna quindi il grande cambiamento del secolo: il turismo diventa un fenomeno mondiale, con l'apertura di ristoranti, grandi alberghi, treni di lusso e transatlantici. I nobili e i grandi borghesi escono dai loro castelli e dalle loro residenze per rifugiarsi nei grandi hotel. 
Escoffier cavalca il momento gestendo ed inventando un nuovo tipo di ristorazione, adatta alla grande borghesia dell'epoca (è sua l'invenzione delle brigate in cucina).
Con Escoffier, nei grandi hotel gestiti con Ritz, fu abolita la "table d'hôte", laddove si mangiava tutti in comune ad orari prestabiliti, e questa venne sostituita da tavoli individuali. Il maitre era la figura più importante, e la scuola italiana delle tecniche di servizio era il punto di riferimento imprescindibile.
All'epoca la ristorazione era molto diversa da quella odierna, non c'era una cultura culinaria vera e propria, anche tra le classi più agiate.
Escoffier cerca di alleggerire i piatti montati, con orpelli inutili ed anti-igienici, alleggerendo le portate ma cercando di aumentare il numero di preparazioni e di varianti sul tema dei cibi. Inventa piatti e pietanze quali ad esempio la famosa Peche Melba in onore della soprano Nellie Melba.
I clienti sono stranieri e va incontro ai loro gusti: studia e codifica le ricette inglesi, russe, spagnole, medio orientali ed anche indiane. Questa si identificherà poi come cucina internazionale.
Nell'organizzazione della cucina fu un vero innovatore: fino ad allora, ogni lavorante doveva saper fare di tutto. Escoffier istituì una divisione scientifica e organigrammatica del lavoro: al vertice lo chef, controllore ed organizzatore. Al secondo posto, Entremetier, dedito alle preparazioni con le uova, soufflés, guarnizioni, antipasti e piatti freddi. Talvolta direttamente sotto lo chef il saucier. Di seguito, i capi-partita: il pasticciere, il rotisseur, il poissonnier, il potager... Poi la commis, tutta la schiera degli aiuti, e per finire gli sguatteri. Nella biografia di Escoffier, Eugene Herbodeau ne da un esempio per indicare il procedimento per la preparazione di una pietanza ordinata:
« per le "due uova alla Mayerbeer" sono ben quattro le persone a darsi da fare: l'entremetier cuoce le uova al burro, il macellaio taglia il rognoncino di agnello, lo apre in due e lo porta al rosticcere che lo cuoce alla griglia, il saucier prepara la salsa Périgueux, e tutto vien fatto confluire al Pentremetier che compone il piatto (rognone appoggiato sulle uova, corona di salsa al tartufo) e, in pochi minuti, il cliente è servito, con « mercé » ben calda e in condizioni ottime."
Una tipologia di grande organizzazione che rimane valida ancor oggi, anche se solo ad alti livelli. Oggi piuttosto si ritorna ad una tipologia di organizzazione dove il cuoco deve saper fare di tutto, questo dovuto alla difficoltà nel reperire personale qualificato e ai costi del lavoro. 
Ricordiamo che Escoffier prevedeva una brigata di sessanta persone, cosa rarissima oggi, anche e forse nelle grandi navi da crociera.

Per quanto riguarda gli scritti, ci ha lasciato tre importanti libri: "Le guide culinaire" (La guida alla cucina), "Le livre des menus" (Il libro dei menu) e "Ma cuisine" (La mia cucina), opere che tuttora sono prese a modello nella teoria e nella pratica della grande cucina classica e internazionale.
Senza dubbio Escoffier fu il più innovativo, creativo manager della ristorazione di inizio secolo, e lasciò ai posteri importanti testi su cui fondare l'arte della gastronomia e della tavola.
Georges Auguste Escoffier morì a 93 anni, nella sua casa di Monte Carlo, il 12 febbraio 1935. La notizia passò sotto silenzio, sia in Francia che in Italia . Fu sepolto a Villeneuve Loubet,  e qui, l'anno dopo, venne eretto un piccolo monumento, che si può considerare come unico esempio marmoreo di ricordo pubblico ad un cuoco. 

domenica 26 ottobre 2014

FOOD THE BOOK - Fornelli d'Italia - Stefania Aphel Barzini

Un racconto della nostra Italia attraverso i racconti delle donne

Quando transito per le stazioni ferroviarie italiane, se ho tempo – e talvolta me lo ricavo – mi reco con immenso piacere nelle librerie Feltrinelli lì locate. 
Per me è un immenso piacere passeggiare tra gli scaffali alla ricerca di acquisti, novità, sensazioni che mi invitano alla lettura e a nuove scoperte letterarie.
La zona dedicata al cibo è sempre la mia preferita e qui scovo sempre una chicca che mi induce all'acquisto. Sovente è pur vero, io ho un mio libretto su cui annoto i libri che intendo acquistare, lista che evinco dalle recensioni, dagli inserti dei quotidiani, dall'ascolto radiofonico... questo però non era annotato e mi ha incuriosito.
Il cognome dell'autrice, Aphel Barzini, è noto nel campo culinario, ha infatti lavorato per molto tempo al Gambero rosso Channel come autrice ed anche alla omonima rivista mensile.
Autrice di altri libri sul cibo, uno sulla cucina americana, ha abitato a lungo negli Stati Uniti ed è discendente di una dinastia di scrittori e giornalisti che vantano numerosi successi nel campo editoriale.
Preso in mano il volume ho avidamente e compulsivamente aperto le pagine ed ho iniziato la lettura in treno, ed è stato così avvincente che nel giro di un giorno l'avevo già letto ed elaborato.
Narra la storia dell'Italia attraverso gli occhi delle donne che silenziosamente hanno dato grande apporto alla storia della nostra cucina. Attraverso il cibo riscopriamo la storia del nostro paese, e riscopriamo figure storiche che è importante non dimenticare, proprio perché attraverso il cibo, e forse proprio grazie a questo, si riesce ad indagare nelle trasformazioni sociali e politiche, culturali di una nazione.
Un libro ben composto, documentato e curioso, con apporto di ricette e indicazioni interessanti.

Si parte dall'Ottocento, narrando della domestica fidata di Pellegrino Artusi, Marietta Sabatini, colei che ha aiutato il grande gastronomo a catalogare i piatti della tradizione, tracciando una linea di demarcazione da ciò che era a quello che sarà.
Si narra poi di Petronilla, la cuoca-medico Amalia Moretti Foggia della Rovere, che aiutò le massaie durante la prima guerra mondiale e di Lidia Morelli, che elaborò la cucina durante la seconda guerra mondiale e che chiudeva sempre i suoi libri con esortazione fascista... così via via si parla del periodo del dopo guerra, del boom economico e dell’era attuale, dominata da Internet.


Un bel percorso fatto di donne che amano il cibo, che lo studiano, lo esaminano e che portano per mano le donne di ogni ceto per dare un apporto alla loro cucina.
Vi sono appuntate anche delle ricette dei periodi e le migliori nella rosa vasta delle autrici di cent'anni di culinaria italiana ed è un bel excursus, di soddisfacente curiosità e storia del nostro paese. Racconti di quotidianità impastata con le vicende politiche ed economiche di ciascuno, di donne che han trovato un risvolto di carriera raccontando ciò di cui si occupano da sempre, acquistare alimenti e costruire un pranzo ed una cena, talvolta anche una colazione.
Evoluzione del nostro vivere e del nostro mangiare, del nostro alimentarsi e delle mode del momento.
Perché la storia passa anche attraverso le nostre tavole imbandite e il cibo è sempre il risvolto più evidente di una nazione e di una civiltà.

FOOD PLACE - Una settimana in Sicilia - Parte 4

Il viaggio prosegue...
Avola
La città di Avola è nota per il suo vino, con un centro storico piccolo ma ben conservato, attorno poderi di campagna racchiusi da muretti a secco che racchiudono  ulivi secolari, fornitori di olio saporito e generoso di gusto. Le marine di Ragusa e Modica sono luoghi dove tempo addietro scoprii per caso una baia piccola e silente, contornata da oleandri e dal lento adagiarsi del mare profondamente blu sopra una sabbia gialla e tiepida.
Luoghi che ho esplorato, conosciuto, assaporato, condiviso, ma la nostra meta è il borgo marinaro, passando per le serre che lucenti sotto il sole racchiudono piantine giovani e promettenti di pomodorini Pachino,  coltivati in questa zona sulla terra sabbiosa con il mare che lambisce il sottosuolo donando sapore unico.

Vendicari
Si staglia il blu del mare contro un blu del cielo che è meraviglia del creato e si adagia sopra la riserva di Vendicari, protetta con i  silenzi rotti dal richiamo degli uccelli e dal fruscio delle corse dei conigli selvatici, canne che fremono alla brezza e attorno le coltivazioni dei carciofi verdi, carnosi e dal gusto forte.
Questo paesetto ha visto il crescere della sua popolarità lentamente negli anni, in parte dovuto ad un festival di cinema molto qualificato che ha portato celebrità e forse scompiglio nella placidità del suo tran tran estivo e quiete dell'inverno. La pesca è ancora un’attività frequente e ci si imbatte con le piccole imbarcazioni dei pescatori ritornati dal lavoro in altura, con il frutto del periodo nella nassa e puoi acquistare il fresco che andrà anche a rifornire i tanti ristorantini che si allineano sulla scogliera e dentro il borgo.

L’antica tonnara, rimasta in disuso per tanti anni, ora vede un restauro intelligente permettendo aperture di ristorantini, piccoli negozi con eccellenze del territorio, boutique delle colte e sapienti capacità giovani dell'isola, caffè e vinerie. Il turismo è quello straniero e siciliano colto, raffinato ed abbiente, che desidera qualità e riservatezza nei toni e nei modi.

Marzamemi
Taverna Ristorante La Cialoma
Racchiuso in un baglio, una corte interna con quinta la chiesa, acciottolato invaso dai tavoli dal ristorantino LA CIALOMA e dal caffè di angolo che ti accoglie sempre con franchezza. Scegliamo il suddetto ristorante, che rimembro per le molte volte che mi sono cibata con grande soddisfazione. I tavoli sono ricoperti da pizzi di casa, da copriletti degli armadi di famiglia che prevedono anche broccati di raffinata qualità, adagiati sopra una tovaglia di lino candida con orlo a giorno ben ricamato. Sono tanti gli avventori e molti dovranno attendere un altro turno.

Il sole ci riscalda e nell'attendere il nostro sederci al desco, percorriamo le stradine del borgo che vede restauri recenti, aperture nuove di locali,ristori e angoli rimessi a modo.

Saremo premiati da un pranzo molto gustoso, composto da pesce quale tonno rosso alla griglia condito con olio e erbe profumate, una insalata di polipo con patate, pinoli, finocchietto selvatico, olive schiacciate e una spruzzata di succo di arancia, una pasta di casa con sugo di tonno e pomodori di dispensa sempre con finocchietto. Il vino è quello bianco di Sicilia dentro calici brillanti; le stoviglie sono della tradizione siciliana. Un menù corto molto competente, la stagione e il territorio presenti e i ragazzi giovani con faccia pulita e schietta, solerti e attenti. Un conto non esagerato visto il luogo e la qualità, che ci rimettono in pace col tempo e la vita. Volgendo al tramonto pensiamo di attardarci ancora un attimo nei dintorni, acquistare i prodotti di questa isola e assaporare il languore di una giornata tiepida e piena di sorprese, una quiete che ci accompagna verso il ritorno, dove le luci dei borghi si accendono, il mare torna nel suo buio e la natura riacquista il suo luogo e il suo riposo.