Note di storia antica - Civiltà ebraica
L'alimentazione nella civiltà ebraica ha subito molte variazioni nel tempo, come si può immaginare.
Nell’epoca nomadica più antica il vitto era semplice e poco saporito e le spezie rare in quelle terre desertiche. I cibi potevano essere facilmente seccati e conservati per l’arido clima e non si potevano portare troppe provviste durante i viaggi.
L'alimentazione nella civiltà ebraica ha subito molte variazioni nel tempo, come si può immaginare.
Nell’epoca nomadica più antica il vitto era semplice e poco saporito e le spezie rare in quelle terre desertiche. I cibi potevano essere facilmente seccati e conservati per l’arido clima e non si potevano portare troppe provviste durante i viaggi.
Come il patriarca Abramo, i nomadi
cercavano in continuazione nuovi pascoli più ricchi per le loro
greggi: il latte e i latticini costituivano la base
dell’alimentazione. La carne era fornita da agnelli e capretti ed
era abbondante. Per il resto, l’alimentazione era essenzialmente
basata sul grano selvatico, con il quale le donne – come Sara nel
racconto biblico – potevano fare il pane; erbe selvatiche venivano cotte come verdure e i datteri dell’oasi più vicina completavano
il pasto.
Quando parte della popolazione divenne
sedentaria e iniziò a praticare l’agricoltura, all’alimentazione
si aggiunsero cereali coltivati e legumi, olive e uva. Con i cereali
si potevano ora fare zuppe, minestre, polente, pane e si potevano
condire i cibi con olio di oliva e bere il vino.
Lungo la riva del mare o nelle zone del
Mar Morto si produceva sale e lo si scambiava con le pecore di
qualche mercante di passaggio. Erbe aromatiche venivano coltivate
nell’orto di casa, come noi oggi piantiamo basilico e timo in
cassetta sul davanzale della finestra. La prima colazione si faceva
in casa o nei campi ed era costituita da pane e formaggio, un poco di
insalata o verdure, frutta fresca o secca e un poco di vino mescolato
con acqua, o aceto o latte. L’aceto serviva per dissetare a lungo.
Il pasto principale veniva consumato nel tardo pomeriggio o presto alla sera, quando il caldo intenso della giornata era un poco diminuito e una fresca brezza solleticava la pelle e l’appetito. Cenando al crepuscolo o sotto il cielo stellato, i figli di Israele si distendevano su stuoie intorno a una pelle conciata che faceva da tovaglia stesa per terra, e si ristoravano con una robusta zuppa di frumento od orzo, ceci, fave o lenticchie, cotta ore e ore, insaporita da erbe selvatiche o verdure raccolte nella giornata.
All’epoca della bibbia i pasti erano
un atto comunitario, come di nuovo lo sono nei Kibbutzim del moderno
Israele. Ognuno immergeva il suo pezzo di pane o il suo “boccone”
(Giovanni 13,26) nel piatto comune. Questo significava ovviamente che
i cibi dovevano essere abbastanza solidi da non cadere dal pane nel
tragitto dal piatto alla bocca.
Piccole coppe e piatti, anche se alcuni
sono stati ritrovati in scavi della prima Età del Bronzo, entrarono
nell’uso comune piuttosto tardi e da quel momento accompagnarono
anche il nomade nei suoi viaggi. “Pulirò Gerusalemme come si
asciuga un piatto, che si asciuga e si rovescia” leggiamo nel Libro
dei Re (2 Re 21,13).
In quell’epoca antica l’alimentazione
tipica dell’uomo – eccetto ovviamente il nomade – era in gran
parte, anche se non esclusivamente, vegetariana.
Da una tavoletta di pietra, trovata a
Gezer, del secolo X a.C. che porta inciso in caratteri cuneiformi una
specie di calendario dei lavori agricoli mese per mese, possiamo farci
un’idea degli alimenti base dell’epoca; questo calendario elenca:
orzo, frumento, spelta, miglio, olive, uva, fichi, melagrane, sesamo
e diverse verdure di stagione.
Allora come oggi i ricchi potevano
permettersi raffinatezze meno comuni che la terra e i mercanti
offrivano: buoi grassi, volatili, spezie di importazione, fior di
farina, buon vino.
E la varietà della loro alimentazione dava gusto alla vita.
E la varietà della loro alimentazione dava gusto alla vita.
Il cibo dell’epoca della Bibbia era
cibo naturale: non esistevano coloranti, conservanti o aromi
artificiali che potessero ingannare i sensi e rendere l’inesistente
esistente. E questo rallegrerà i cultori dell’alimentazione
naturale.
Purtroppo, per preparare un pasto
biblico ai nostri giorni bisognerà fare alcune concessioni,
sacrificando un certo grado di autenticità. Ad esempio è raro
trovare in città, ma anche in campagna, latte di capra o di
pecora, per di più non pastorizzato.
Parlando di colazioni, pranzi e cene
presso le famiglie ebraiche italiane del passato, dovremo fare le
debite distinzioni tra la cucina ricca, dispendiosa e un poco
esibizionista di quelle più agiate e benestanti e quella essenziale,
meno raffinata, quasi popolare e contadina, delle famiglie dai mezzi
economici più limitati, indipendentemente dal fatto che quelle
famiglie vivessero nei medesimi ghetti, sottoposte all’apparenza
alle stesse misure restrittive, adottate dai vari governi nei
confronti del nucleo ebraico nel suo complesso.
La società ebraica era fatta di ricchi e di poveri, e la diversità nella condizione socioeconomica si vedeva anche a tavola.
La società ebraica era fatta di ricchi e di poveri, e la diversità nella condizione socioeconomica si vedeva anche a tavola.
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