“Meraviglioso coccolato. Trasgressivo e rassicurante. Innocente e
sensuale. Maschile e femminile. Dolce, almeno un po’: anche quando e’ amaro,
amarissimo. Evoca teneri ricordi d’infanzia e momenti d’amore e di passione:
nel cioccolato gli estremi si toccano. Anzi, si fondono, proprio come quando,
in bocca, libera tutto un mondo di profumi, sapori, sensazioni. Amato (da
molti) e odiato (da pochissimi), è difficile che susciti semplice
indifferenza: la sua magia ha ispirato libri e quadri, ha scomodato esperti di
tutte le discipline per stabilire se fa bene o male, se adorarlo è una
regressione all'infanzia o una tendenza verso il lato oscuro delle cose…Facendo
quasi passare in secondo piano che si tratta di un “semplice”, per quanto
squisito, alimento.
La storia del cioccolato sfuma in leggenda. Quella di una principessa
che aveva difeso con la vita un tesoro da Mille e una notte affidatole dallo
sposo guerriero. Dal suo sangue versato erano nati i semi del cacao: rossi come
il sangue, appunto, amari come il dolore e forti come la virtù. Ma anche
partendo dai dati di fatto e non dalla fantasia, la storia del cioccolato è
misteriosa. L’albero del cacao cresceva già almeno quattromila anni a.C. nei
bacini dell’Amazzonia. I maya lo coltivarono per primi e lo portarono in
Messico.
Furono loro a scoprire che il seme tostato era commestibile e questa
tradizione, come il culto del dio Quetzalcoatl, passo’ ai toltechi e poi agli
aztechi.
Che cosa c’entra Quetzalcoatl? Gli indios consideravano il cacao un
suo dono, e nel 1519 ne offrirono i semi in grande quantita’ a quello che
credevano essere il loro dio finalmente di ritorno. Ma si trattava del
conquistator Cortez…
A differenza di Cristoforo Colombo, che pochi anni prima li aveva
“scoperti” ma non se n’era accorto, Cortez porto’ i semi in Europa perché capì di avere a che fare con qualcosa di importante. In realta’ non ci voleva
molto per rendersene conto: il seme veniva usato come moneta (uno schiavo ne valeva
100, una notte d’amore con una cortigiana 12…) e la bevanda che se ne ricavava
era così preziosa che solo l’imperatore Montezuma poteva berne piu’ di una
tazza al giorno: pare che arrivasse a 50.
Insomma, un alimento di alto rango.
Pessimo, pero’, almeno secondo i nostri gusti. Perché la ricetta per
l’antenata della nostra cioccolata prevedeva, oltre ai semi pestati, farina di
mais, peperoncino e altre spezie piccanti.
L’albero della cioccolata e’ smilzo, alto fino a 10 metri, battezzato
da Linneo Theobroma cacao, che in greco significa cibo degli dei) è piuttosto
schizzinoso in fatto di ambiente. Cresce solo a 20 gradi a nord o a sud
dell’equatore, a circa 400 metri di altitudine su terreno ricco e ha bisogno di
essere protetto da altre piante: spesso si usano quelle di banano (sarà un
caso ma cioccolato e banana formano un abbinamento delizioso!) Foglie rosse che
diventano verdi a maturazione e frutti ovali, chiamati cabosse.
Vengono fatti
cadere, aperti e svuotati di polpa e semi, che si lasciano fermentare. I semi,
poi, sono ripuliti dalla polpa, fatti essecare e spediti nei paesi consumatori
dove subiscono un lungo processo di trasformazione (tostatura, macinazione,
aggiunta di burro di cacao, impasto con altri ingredienti, colata negli stampi
e infine raffreddamento).. sino a quando qualcuno togliera’ al cioccolatino il
suo luccicante vestito di stagnola.
Ci pensarono gli spagnoli a limitare le spezie alla vaniglia e a
dolcificarla con zucchero di canna. A questo punto la storia della cioccolata diviene
parallela a quella delle altre bevande da compagnia, quali te’ e caffè. E pare
che gli intellettuali la preferissero, anche se la bevevano nelle cosiddette
“botteghe del caffè”. Un altro punto a suo favore la cioccolata lo segnò
quando, dopo molte polemiche, fu dichiarato che non interrompeva il digiuno
eucaristico, che consentiva di ingerire solo liquidi. Inutile dire che la
decisione fu pesa da un prelato ghiottone. Era il 1662 e la cioccolata era
ormai arrivata da oltre 50 anni anche in Italia. Ma rimaneva uno sfizio dei
ricchi e dei nobili.
In Francia la regina Maria Teresa, moglie di Luigi XIV, non poteva
farne a meno. Ed era un grande onore essere invitati ad assistere alla
colazione del reggente Filippo d’Orleans. Chi poteva andare al cioccolatte,
aveva di sicuro un grande avvenire a corte. Qualcosa di simile accade oggi,
soprattutto in America: dove la pubblicita’ che reclamizza il cioccolato
trascura completamente l’infanzia e si rivolge a yuppies 30/40enni rampanti
che, in attesa di potersi comprare una fuoriserie europea, si consolano
acquistando cioccolatini “status-symbol” in confezioni lussuosissime.
Tornando al passato, nel corso del 600 e poi del 700 la cioccolata si
avvia a divenire una bevanda quasi popolare. Gli olandesi avevano strappato il
monopolio agli spagnoli, diffondendo anche in Europa del Nord, e finalmente
anche in Svizzera.
Un motivetto pubblicitario di qualche anno fa canticchiava “Van Houten
ha inventato il cacao…” ed era proprio vero.
Fino all’inizio dell’800 infatti,
il cacao semplicemente non esisteva, e neanche il cioccolato solido: la
cioccolata liquida si ricavava “annacquando” i semi triturati, formati per un
buon 50% da burro di cacao. Era quindi piuttosto “grezza” ed indigesta, e fu
l’olandese Van Hauten a trovare il mezzo per alleggerirla: una pressa a vite
che eliminava la parte grassa dei semi e ne estraeva cacao in polvere. Era il
1828: una data fondamentale per i cioccolatomani.
Perché la disponibilità di burro di cacao rese possibile aggiungerne
ai normali chicchi macinati, ottenendo un impasto piu’ malleabile che assorbiva
meglio lo zucchero: la tavoletta era quasi inventata. La lavorazione dei semi,
da completamente manuale, era diventata meccanica e nell800 una specie di gara
internazionale porta invenzioni da tutt’Europa: il cioccolato diviene
industria.
Inglese, di Fry & Sons, e’ la prima tavoletta (del 1874). Belga la
prima pralina, un qualcosa rivestito di cioccolato fondente (1857 Neuhaus). Gli
svizzeri, sembra incredibile, arrivarono buoni ultimi, verso il 1880.
Ma come si fa a parlare di cioccolata e cioccolato senza sapere
esattamente che cosa sono?
Innanzitutto, per cioccolata si intende di solito quella liquida, che
può essere indifferentemente preparata con cacao o cioccolato fondente, di
solito sciolti nel latte.
Per quanto riguarda il cioccolato, gli intenditori sostengono che
quello “vero” è il fondente, fatto solo di pasta di cacao (almeno il 45 per
cento per il tipo extra), burro di cacao
e zucchero; il tipo da “copertura” quello che serve per i dolci, contiene burro
di cacao in più e a volte lecitina di soia, che lo rende piu’ facile da
fondere.
Il cioccolato al latte, oltre naturalmente al latte, concentrato o in
polvere, contiene invece una quantità inferiore di cacao. Mentre quello
bianco, in teoria, non è vero cioccolato perché non ne contiene affatto: solo
burro di cacao, zucchero e latte in polvere. Sarà ma a me pare sia buono lo
stesso…
Da panacea di tutti i mali (o quasi) a demone che insidia la linea, la
pelle, i denti: la salute insomma….Alle origini la cioccolata era apprezzata
anche dai conquistatores soprattutto come alimento energetico.
Nel 1600 un medico francese sosteneva fosse un rimedio contro le “malattie galanti”.
Piu’ o meno nello stesso periodo nemmeno l’America puritana ci trovava niente da ridire e nel 1700 in Inghilterra qualcuno la riteneva addirittura miracolosa contro la tisi. E nel 900 il grande filosofo della gastronomia Brillat Savarin inventava l'equazione cioccolato uguale salute…
Nel 1600 un medico francese sosteneva fosse un rimedio contro le “malattie galanti”.
Piu’ o meno nello stesso periodo nemmeno l’America puritana ci trovava niente da ridire e nel 1700 in Inghilterra qualcuno la riteneva addirittura miracolosa contro la tisi. E nel 900 il grande filosofo della gastronomia Brillat Savarin inventava l'equazione cioccolato uguale salute…
E via elogiando, piu’ o meno fino agli anni '70 del nostro secolo.
Quando, forse per punirci delle colpe del consumismo, il cioccolato diviene una
minaccia alla linea ed alla salute. Un po’ come e’ accaduto per lo zucchero.
In realtà, proprio per i suoi principi nutritivi il cioccolato, con
moderazione, puo’ essere consumato tranquillamente. Perche’ contiene si dei
grassi, sotto forma di burro di cacao: ma si tratta di grassi buoni di origine
vegetale. In piu’ zuccheri, naturalmente e proteine; quindi un vero e proprio alimento
e per di piu’ facilmente digeribile.
C’è chi sostiene sia un ottimo “aperitivo antifame”: un cioccolatino
somministrato prima dei pasti fa aumentare velocemente il livello del glucosio
nel sangue e di conseguenza calma l’appetito.
Nel cioccolato ci sono 850 componenti compresi diversi eccitanti. La
caffeina è in quantità molto minore che nel caffè, ma in compenso e’
presente la teobromina, stimolante del sistema nervoso centrale che in
altissime dosi puo’ anche essere nociva ed è la responsabile di una certa
dipendenza.
Il cioccolato e’ fonte di grande soddisfazione, come tutti gli alimenti
dolci, ma in più per la sua particolare composizione stimola le papille
gustative euforizzanti.
Nel cioccolato vi è anche la feniletilamina che è l’equivalente
chimico dell’innamoramento.
Il quadro più famoso col cioccolato per protagonista è forse “La
bella cioccolataia“ di Liotard del 1744.
Ed è ancora lei che campeggia sulla copertina di un libro coltissimo
di Piero CAMPORESI “Il brodo indiano” dove la bevanda diviene paradigma dei
cambiamenti storici del periodo.
William Hogarth ambientò un paio di scene di “la carriera di un
libertino” da White’s mescita londinese di cioccolata che era il ritrovo del
partito liberale (ma ve ne erano altre in cui si radunavano i conservatori).
E cioccolata si beveva nella “Bottega del caffe’” di Goldoni. Un
fenomeno di costume che non poteva sfuggire al PARINI. Come il momento del
caffé è una dette tante oziose attività del Giovin signore, invitato a
scegliere “il brun cioccolatte, onde tributo/ti dà il Guatimalese e il
Caribbeo” E’ un’altra damina annoiata trovar’ conforto durante la “lezione di
geografia” un quadro di Pietro Longhi del 1752 nella bevanda profumata che
l’attende alle sue spalle.
Siamo sempre nel 700 il secolo in cui la cioccolata esotica si avvia a
divenire una presenza domestica. In tempi piu’ vicini ai nostri, i Buddenbrook
di Thoma Mann la gustano a colazione nei giorni di festa; le belle torinesi di
Gozzano sono forse più accattivanti in pasticceria che in momenti più intimi;
Marcel Proust la preferisce sotto forma di soffice crema…
Cacao è addirittura il titolo di un libro di Jorge Amado che racconta
la vita di una fazenda; mentre dal punto di vista dei “cioccofili” e’ quasi una
delusione “dolce come il cioccolato” di Laura Esquivel, romanzo scandito dal
ritmo delle ricette, dove quelle dedicate al titolo sono solo un paio.
Dedicato agli appassionati “Cioccolato & cioccolatini" di Mariarosa
Schiaffino, una bibbia tascabile, appetitosa come una tavoletta.
Ma se diventasse addirittura una “passione divorante”? E' il caso di
Sandra Boyton che ha intitolato il suo libro a fumetti della Rizzoli "1972 dove
ippopotami, cagnolini, mucche e gatti condividono – e si strappano di mano – la
stessa passione, appunto.
Il cioccolato non poteva mancare neanche nel cinema
Nanni Moretti, per esempio, non solo nel film "Bianca" offre come pegno
d’amore una Sache torte affogata sotto una montagna di panna e in una notte
insonne cerca conforto in un gigantesco vaso di Nutella; ma ha addirittura
chiamato Sacher film la sua casa di produzione.
E nell'ironico "Cioccolato bollente", pellicola piena del piu’ corrosivo
humour inglese, viene addirittura creata una nuova varieta’ di cioccolatini:
dopo l’accidentale caduta di due operai della fabbrica nell’impasto, l’ufficio
marketing risconta il gradimento del pubblico per i cioccolatini di quella
partita. Ne nasce una vera e propria caccia all’uomo. Per trasformarlo nel
macabro ripieno…
E c’e’ anche un museo in Svizzera: il MUSEO DEL CIOCCOLATO. Con le
sette meraviglie del mondo interamente di cacao e galleria dei personaggi
celebri che ne erano ghiotti.
Fuori, un chiosco di souvenir: tutti da mangiare.
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